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Approvvigionamenti e Raffinazione

di GCA

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Ombrina Mare: una storia emblematica che mette sotto accusa la Politica

Dieci anni di “stop and go” all'insegna dell'incertezza

Approvvigionamenti e Raffinazione

Quella che segue è una storia piena di colpi di scena e di “stop and go” che, con l'avvio dello smantellamento del pozzo petrolifero antistante Ortona, arriva al capolinea. Salvo proseguire nelle sedi dell'arbitrato internazionale che vedrà in veste di imputato la Repubblica Italiana o meglio i governi e i ministri dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico che si sono avvicendati tra il dicembre 2007 e il gennaio 2016. In un settore, quello delle ricerche degli idrocarburi, dove ogni volta la mano sinistra appare inconsapevole di quello che fa la destra e viceversa. Con gli operatori a cui non resta che chiedere i danni. Una vicenda ricostruita dalle preziose cronache della Staffetta.

“Chiusura definitiva per il pozzo petrolifero diventato uno dei simboli della battaglia ambientalista”. Così venerdì l'edizione di Teramo del Resto del Carlino a commento della notizia, confermata dalla Capitaneria di Porto di Ortona, che sono iniziate le operazioni di smantellamento della piattaforma che sovrasta Ombrina Mare 2, uno dei simboli della battaglia “no triv”, tra l'esultanza del Wwf.

Un'operazione che mette la parola fine ad una storia iniziata dieci anni fa quando l'allora ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio (governo Prodi), con un decreto del 6 dicembre 2007, aveva espresso giudizio positivo circa la compatibilità ambientale del progetto presentato dalla società Intergas Più srl relativo alla perforazione di un pozzo esplorativo denominato Ombrina Mare 2 nell'area del permesso di ricerca offshore “B.R. 269 G.C.” nel Mare Adriatico di fronte alla linea di costa compresa tra Ortona e la foce del fiume Sangro, a una distanza di 6,5 chilometri. Con la premessa che “nell'ambito del piano Energetico Nazionale lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali rappresenta uno degli obiettivi individuati come prioritario” e che “per quanto riguarda le fonti non rinnovabili, l'impegno è concentrato sull'incremento della produzione nazionale di gas e petrolio”. In questo quadro, si leggeva sempre nelle premesse del decreto,. il pozzo Ombrina 2 “potrebbe rappresentare, se produttivo, un contributo all'accrescimento e alla valorizzazione delle risorse nazionali di idrocarburi”. Per quanto riguardava le operazioni di perforazione il decreto precisava che il pozzo sarebbe stato perforato utilizzando un impianto di tipo Jack-up utilizzabile con profondità d'acqua inferiori a 90 metri.

La concessione di coltivazione in cui ricadeva il progetto di perforazione Ombrina Mare 2 “B.C.19.I.F:” risaliva in verità al 30 marzo 1992 quando era stato concesso alla Elf Idrocarburi Italiana con un decreto del ministero dell'Industria a cui il 1° aprile 1994 aveva fatto seguito un decreto di modifica del termine di perforazione.

Il 7 ottobre 2008 la britannica Mediterranean Oil&Gas Italia (Medoilgas), subentrata alla Intergas Più, annuncia che la procedura di certificazione delle riserve di Ombrina Mare ha evidenziato un importante giacimento di idrocarburi con riserve provate e probabili (P2) per 6,5 miliardi di piedi cubici (circa 184 milioni di metri cubi) che si aggiungono ai 20 milioni di barili già certificati in precedenza per lo stesso sito. A cui si aggiungono riserve possibili (P3) e riserve potenziali di ulteriori 10 miliardi di piedi cubici.

Forte di ciò la società il 17 dicembre 2008 presenta al Mise istanza per il conferimento della concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi denominata “d 30B.C.–MD” avente ad oggetto un'area di superficie pari a 144,5 kmq.

Passano due anni e il 12 ottobre 2010 arriva la notizia che il divieto di trivellazione entro le 5 miglia dalla costa disposto dal ministero dell'Ambiente è stato applicato per la prima volta in Abruzzo proprio al progetto Ombrina Mare 2. Il parere negativo è stato espresso dalla Commissione nazionale per la Valutazione di impatto ambientale sulla base del divieto inserito a fine giugno dal ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo (governo Berlusconi), nel testo del decreto legislativo 128/2010 di modifica del Codice dell'Ambiente (d.lgs 3 aprile 2006 n. 152) uscito sulla Gazzetta Ufficiale dell'11 agosto 2010. Nonostante i giudizi negativi espressi dal sottosegretario allo Sviluppo Economico, Stefano Saglia, nonché da Assomineraria.

Toccando con mano, rilevava la Staffetta, l'incapacità dei nostri legislatori e amministratori di valutare e approfondire gli effetti dello loro decisioni sulle attività industriali del Paese in un momento di grave crisi economica e finanziaria. La norma in questione sanciva infatti il divieto di prospezione e coltivazione nelle zone di mare poste entro 12 miglia marine e costiere protette e, per i soli idrocarburi liquidi, nella fascia compresa entro 5 miglia dalla linea di base delle acque territoriali: limite in cui ricadeva appunto Ombrina Mare.

Divieto che con l'art. 35 del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83 del governo Monti (Misure urgenti per la crescita del Paese) convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 7 agosto 2012 era stato rafforzato fissando un'unica e più rigida fascia per l'estrazione di olio e gas, pari ad un'estensione di 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, per qualunque nuova attività di prospezione, ricerca e coltivazione.

Salvo poi due anni dopo, il 25 gennaio 2013, essendo invece ministro dell'Ambiente Corrado Clini, ricevere parere positivo con prescrizioni da parte della Commissione Via-Vas, parere propedeutico al rilascio della VIA vera e propria. Un parere che una volta controfirmato dal ministro avrebbe permesso alla Medoil Italia di chiedere l'attribuzione di una concessione di produzione da parte del Mise per poter avviare un pozzo pilota e iniziare le attività di sviluppo. Anche il ministero dei Beni e Attività Culturali con nota dell'11 febbraio 2013 esprimeva parere positivo per quanto di sua competenza.

Decisione, quella dell'Ambiente, che provoca all'inizio di giugno una diffida del Wwf alla Direzione generale per la valutazioni ambientali del mistero dell'Ambiente chiedendone il rigetto e poi, il 12 giugno 2013, la presentazione di una risoluzione da parte di un folto numero di deputati del PD, primo firmatario Mariastella Bianchi, che chiede di sospendere ogni forma di autorizzazione per nuove attività di prospezione e coltivazione di idrocarburi nell'Adriatico e più in generale nel Mediterraneo in attesa di un'apposita conferenza dei paesi rivieraschi che individui una regolamentazione comune di queste attività.

Diffida e risoluzione che l'8 luglio 2013 inducono il nuovo ministro dell'Ambiente Andrea Orlando (governo Letta) ad un ripensamento, invitando la direzione generale per le Valutazioni Ambientali a disporre, nell'ambito del procedimento di Via relativo al progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi liquidi e gassosi denominato Ombrina Mare, propedeutico al rilascio della relativa concessione di coltivazione da parte del Mise, un supplemento di istruttoria ai fini della sottoposizione alla procedura AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale).

Ripensamento contro cui la Medoil Italia ricorre immediatamente al Tar del Lazio accusando il ministero di “eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e perplessità dell'azione amministrativa in relazione a quanto precedentemente espresso” per chiederne l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia. Tar che il 24 ottobre 2013 rinvia ogni decisione all'udienza per il giudizio di merito. Udienze che si tengono il 9 gennaio e il 20 febbraio 2014 con la decisione di respingere il ricorso e di confermare il ripensamento del ministero. Secondo i giudici la decisione è stata corretta. Tra i motivi addotti, il fatto che “la finalità propria dell'Autorizzazione integrata ambientale deve essere individuata da un lato nella semplificazione e nel coordinamento delle procedure ammnistrative, ma dall'altro nelle garanzie di tutela ed informazione in caso di particolari attività incidenti sull'ambiente”. Pertanto, “non può condividersi la tesi che tende ad isolare un segmento dell'attività programmata al fine di evitare la sottoposizione al più complesso procedimento AIA”.

Pochi mesi dopo, nel maggio 2014, a seguito dell'acquisto del gruppo Mediterranean Oil&Gas Plc da parte del gruppo irlandese Rockhopper Exploration Plc, Medoilgas Italia cambia la denominazione sociale in Rockhopper Italia Spa e nelle sue prime dichiarazioni il numero uno del gruppo, Samuel Mody, conferma l'interesse per le attività di ricerca in Italia, rilevando che “gli importanti investimenti che Rockhopper intende sviluppare saranno improntati alla sicurezza e alla tutela ambientale e saranno in grado di generare importanti risorse per lo sviluppo economico dei territori” Dal canto suo l'amministratore delegato della filiale italiana, Sergio Morandi, aggiunge: “si apre una nuova fase. Guardiamo al futuro con la fiducia di chi opera con rigore e correttezza e con l'energia di chi è convinto di lavorare non solo nell'interesse della propria azienda ma anche nell'interesse strategico del Paese”.

Una delle prime mosse di Rockhopper Italia è quella di ricorrere al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio che era stata depositata il 16 aprile 2014. Ricorso a cui la società irlandese non rinuncia anche dopo che il 6 marzo 2015 il progetto offshore di Ombrina Mar ha finalmente ricevuto il parere positivo della Commissione tecnica di verifica di impatto ambientale sulla base del quale il 7 agosto 2015 il ministro dell'Ambiente Gianluca Galletti (governo Renzi) ha decretato la compatibilità ambientale del progetto di sviluppo del giacimento nell'ambito dell'istanza di conferimento della concessione di coltivazione convenzionalmente denominata “d30 B.C-MD” e l'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l'esercizio della piattaforma Ombrina Mare a condizione che vengano ottemperate una serie di prescrizioni e di adempimenti.

Nel ricorso Rockhopper Italia precisa infatti di avere ancora interesse ad accertare l'illegittimità degli atti impugnati al fine di promuovere un separato giudizio risarcitorio. Perché tali atti hanno comunque determinato un aggravio procedimentale, ritardando il rilascio della concessione di coltivazione che al momento della discussione dell'appello non era stata ancora rilasciata. Tra i profili di danno evidenziati, Rockhopper Italia cita: a) la perdita del valore del patrimonio aziendale in considerazione del fatto che il giorno successivo alla sentenza del Tar le azioni della capogruppo quotata alla Borsa di Londra avrebbero perso circa il 15% del valore; b) il ritardato o mancato incasso nei termini previsti dei proventi derivanti dall'investimento effettuato; c) il fatto che il ritardo nella conclusione del procedimento potrebbe persino precludere il rilascio della concessione di coltivazione alla luce delle sopravvenienze normative nel frattempo intervenute (in particolare le leggi del 14 ottobre 2015 n.29 e 6 novembre 2015 n. 38 delle Regione Abruzzo e la richiesta di referendum abrogativo avanzata dai “no triv”).

Considerazioni che tuttavia, pur essendo state tenute presenti insieme alla altre più specifiche relative alla presunta illegittimità delle decisioni ministeriali, non vengono accolte dal Consiglio di Stato. Per cui nelle udienze del 17 dicembre 2015 e dell'11 marzo 2016 il ricorso viene respinto.

Una decisione che arriva comunque fuori tempo massimo. Il 13 dicembre 2015 il governo Renzi, a pochi giorni dalla decisione della Consulta sull'ammissibilità del referendum “no triv” contro lo Sblocca Italia, decide infatti, per cercare di disinnescare la bomba, di limitare i progetti “salvati” dall'obbligo di rispettare il limite delle 12 miglia ai soli già autorizzati, tagliando fuori anche quello di Ombrina Mare, uno di quelli più contestati.

Decisione attuata a fine gennaio 2016 dal ministero dello Sviluppo Economico con un provvedimento di chiusura del procedimento e rigetto dell'istanza di permesso di coltivazione “d 30 B.C-MD” presentata da Rockhopper Italia. Decisione comunicata telefonicamente il 30 gennaio dal ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, al governatore dell'Abruzzo, Luciano D'Alfonso, e presentata come “diniego definitivo alla produzione”. Comunicazione analoga viene fatta dal ministero a Rockhopper Italia che in una nota annuncia di stare valutando tra le opzioni quella di “una richiesta di risarcimento danni nei confronti della Repubblica Italiana, in particolare attraverso un arbitrato nell'ambito della Carta dell'Energia”.

Un'annosa vicenda che si conclude all'inizio di aprile 2017 con la decisione di Rockhopper Exploration Plc di avviare tale procedura di arbitrato internazionale contro la Repubblica Italiana “al fine di tutelare gli interessi dei propri azionisti senza alcun costo aggiuntivo per l'azienda”. E ora con l'avvio dello smantellamento e della chiusura definitiva del pozzo petrolifero.



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