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Politica energetica nazionale
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Quanto costa un metro cubo di gas importato in Italia?

Le riflessioni controcorrente di Salvatore Carollo. Il prezzo finale andrebbe ancorato a quello medio di importazione o si avvantaggiano solo gli operatori

Politica energetica nazionale

Il sistema di prezzo del gas oggi in vigore in Italia protegge fortemente gli operatori ma scarica interamente sui consumatori ogni disfunzione del sistema. Lo scrive Salvatore Carollo in questa nuova riflessione controcorrente, osservando che in un Paese come l'Italia sarebbe logico se il prezzo del gas dipendesse da quello medio di importazione, rimasto più stabile grazie ai contratti di lungo periodo nonostante le turbolenze dei mercati, anziché da un indicatore poco affidabile come il Ttf olandese. Per questo, conclude Carollo, bisognerebbe cambiare sistema, esigendo trasparenza dalle imprese sulle loro condizioni di approvvigionamento.

È una domanda semplicissima a cui dovrebbe corrispondere una risposta chiara e documentata, soprattutto in un Paese nel quale l'energia è un bene strategico fondamentale per cui è stata costituita un'Autorità per garantire, in piena trasparenza, che il mercato risponda effettivamente alla dinamica dell'offerta e della domanda a tutela degli interessi degli operatori e dei consumatori.

Invece, la discussione sul “caro bolletta” sta mostrando assenza di trasparenza ed informazione a quasi tutti i livelli.

Cerchiamo di portare qualche elemento di chiarezza in questa discussione.

Il mercato è per definizione il luogo dove domanda ed offerta sono in grado di incontrarsi generando un prezzo. A differenza di tutte le merci solide o liquide che possono essere trasportate senza particolari problemi dal luogo di produzione a quello di consumo, il gas naturale per essere trasportato ha bisogno di infrastrutture o di tecnologie di trasformazioni molto costose. Solo i giacimenti che contengono enormi volumi di gas consentono di giustificare i grandi investimenti che occorrono per il trasporto del gas dalle aree di produzione a quelle di consumo.

Per questo definire il prezzo del gas all'origine, come si fa per il petrolio, è privo di significato. La maggior parte dei giacimenti importanti si trovano a migliaia di chilometri di distanza dalle aree di consumo. Il prezzo prende corpo quando si mettono in relazione origine, destinazione ed il mezzo di trasporto adottato.

L'Italia è stato fra i primi paesi a fare accordi commerciali (e strategici) con l'Urss per fare arrivare in Italia il gas naturale prodotto in Siberia, dopo aver percorso circa seimila chilometri.

Erano anni in cui non esisteva né l'idea di mercato del gas né quella di un suo prezzo di mercato.

I contraenti dell'accordo commerciale di acquisto e vendita del gas concordarono su alcuni principi fondamentali per dare forma e senso logico al loro contratto:

1. La durata del contratto doveva essere di lungo periodo, in modo da garantire al produttore il recupero degli investimenti per le infrastrutture di trasporto. La clausola del “take or pay” obbligava le parti al ritiro o al pagamento di un minimo di volumi di gas all'anno;

2. Il prezzo del gas era costruito facendo riferimento al prezzo dei prodotti petroliferi che il gas andava a sostituire. E più precisamente al prezzo dell'olio combustibile usato nelle centrali elettriche ed al gasolio usato per il riscaldamento degli edifici.

In tal modo, fu facile costruire delle formule con cui veniva calcolato il prezzo del gas su base annuale o semestrale. Questo prezzo era molto stabile, competitivo con quello del petrolio e dei prodotti petroliferi alternativi, consentendo la grande espansione del gas soprattutto nel mercato energetico italiano. È successo che, in alcune fasi contingenti, queste formule siano risultate penalizzanti, ma nel complesso, hanno assicurato energia sicura ed a basso costo.

Per oltre quaranta anni, il quadro di riferimento si è sviluppato lungo questa linea.

In parallelo, sono intervenute due novità: la nascita del mercato del Gnl (gas naturale liquefatto) e quella del cosiddetto mercato “spot”.

È importante precisare un concetto. Solo il 30% dei giacimenti di gas scoperti nel mondo contiene una quantità di gas sufficiente a giustificare gli investimenti necessari per la sua produzione e per il suo trasporto verso le aree di consumo. Ciò vuol dire che il 70% del gas finora scoperto rimane sottoterra per mancanza di tecnologie che ne consentano il trasporto in modo economico.

A metà strada fra i grandi giacimenti, che giustificano la costruzione di grandi (e lunghi) gasdotti, esiste una classe di giacimenti che ha consentito una soluzione tecnologica diversa. Il gas naturale viene raffreddato a -162 °C e trasformato allo stato liquido, consentendo il suo trasporto con navi specializzate. Per questo gas, chiamato Gnl o Lng (gas naturale liquefatto), si sono formati alcuni mercati regionali, localizzati presso i terminali di esportazione. Il più famoso è il mercato di Herath in Louisiana dove si genera l'indicatore di prezzo “Henry Hub”.

Normalmente, il prezzo del Gnl è più caro (almeno il doppio) del gas naturale trasportato via pipeline e per questa ragione non ha avuto grandi sviluppi in Europa. La tecnologia Gnl richiede la costruzione di due impianti costosi, quello della liquefazione del gas alla partenza e quello della ri-gassificazione alla destinazione finale. Anche il trasporto risulta costoso per le condizioni di sicurezza richieste. Anche dal punto di vista ambientale presenta diversi aspetti negativi. In tutto il processo circa 30% del gas evapora e si disperde nell'atmosfera, determinando un aumento del prezzo finale e del livello complessivo delle emissioni.

Nel corso degli anni, si è sviluppata una forte ostilità delle popolazioni dei territori presso i quali si era pensato di costruire gli impianti di ricezione e ri-gassificazione del Gnl. In conclusione, sia per ragioni sociali sia per ragioni economiche, l'importazione di Gnl in Italia, nonostante l'eccesso di offerta dagli Usa, Qatar e West Africa, risulta circa il 15% del totale importato.

Comunque, poiché il prezzo al consumo del gas naturale in Italia ed in Europa, negli ultimi due decenni, si è portato al di sopra di quello acquistato con i contratti di lungo periodo attraverso i gasdotti, è stato possibile giustificare queste importazioni di Gnl, considerando anche l'età media degli impianti.

E qui arriviamo al vero nodo da sciogliere nella politica di approvvigionamento del gas, ovvero il rapporto fra gli acquisti con contratti di lungo periodo e quelli spot.

Iniziamo col dire che nel 2020 l'Italia ha consumato 71 miliardi di mc di gas, di cui 4,6 miliardi di produzione nazionale e 67 miliardi importati dall'estero. Il gas importato attraverso pipeline con contratti a lungo termine è stato di circa 55 miliardi (pari a 82%). Il gas importato sotto forma di Gnl è stato circa 12 miliardi di mc (18%). Il gas acquistato sul mercato spot è stato solo marginale, pari a qualche arrotondamento del calcolo totale.

È utile sottolineare che la produzione nazionale di gas naturale aveva superato 20 miliardi di metri cubi all'anno alla fine degli anni '90. Il crollo degli investimenti anche a causa delle crescenti pressioni dei verdi ha portato la produzione agli attuali 4 miliardi di mc.

Eppure, tutto il gas venduto al consumo in Italia non tiene conto dei reali costi di importazione, ma è derivato esclusivamente dal prezzo del mercato spot “olandese”, esattamente quel prezzo che è impazzito mostrando una volatilità assolutamente anomala originata da fattori speculativi ed emozionali non giustificati dall'andamento della domanda e dell'offerta.

Sarebbe logico in un Paese come l'Italia stabilire il prezzo al consumo sulla base del prezzo medio di importazione reale tenendo conto di tutti i contratti esistenti che certamente sono rimasti abbastanza stabili (dentro un intervallo di oscillazione in linea con i mercati energetici mondiali) nonostante il quadro di tensioni internazionali.

Perché allora il sistema di riferimento del prezzo nazionale del gas si è ancorato ad un indicatore poco affidabile generato essenzialmente sul mercato olandese e nella borsa di Amsterdam?

La scoperta del gas naturale nazionale, con una produzione di quasi 90 miliardi di mc, aveva consentito all'Olanda di coprire totalmente i consumi interni e di esportare volumi marginali verso il Belgio e la Germania. Questa disponibilità di energia a basso costo ha permesso un rilancio economico importante soprattutto dell'agricoltura (le serre) e dell'industria.

A partire dagli anni 2000 ad Amsterdam si cerca di sviluppare l'idea di un mercato spot del gas simile a quello che il Regno Unito aveva fatto con il Brent. Nasce così il Ttf (Title Transfer Facility) che assume gradualmente il ruolo che il Brent Ice svolge da decenni nel mercato petrolifero internazionale. Nascono le transazioni di contratti cartacei in borsa ai quali non corrisponde necessariamente uno scambio di volumi fisici di gas. Diventa una commodity finanziaria che ha consentito alla borsa di Amsterdam uno sviluppo importante per la liquidità che si è generata.

Di recente, al diminuire della produzione domestica olandese e dei flussi di esportazione, è corrisposto un aumento delle transazioni finanziarie nella borsa di Amsterdam (sempre più cartacee e sempre meno correlate ad effettive transazioni fisiche). Ovvero, le quotazioni del Ttf hanno rappresentato un insieme meno affidabile e più rischioso.

Sorprende quindi che proprio da pochi anni il sistema italiano ha deciso di fare di questo sistema speculativo e poco affidabile, l'unico elemento di riferimento per determinare il prezzo del gas al consumo.

In altre parole, agli interessi del mondo finanziario cui le imprese italiane si sono adagiate, non sono stati contrapposti gli elementi negativi che il mondo ha sperimentato prima con il prezzo del Brent (dove la scomparsa quasi totale di produzione fisica del greggio ha ridotto il Brent ad un indicatore finanziario in mano alle grandi istituzioni finanziarie), ed ora con il prezzo del gas olandese, il Ttf.

Le spaventose speculazioni che abbiamo vissuto negli anni passati con il Brent (l'altalena drammatica del prezzo in assenza di variazioni della domanda e dell'offerta, da 60 $/bb a 150 e quindi a 29, in poche settimane; il crollo da 50 $/bbl a -37 $/bbl in un solo giorno per il Wti) e le analoghe fluttuazioni del Ttf nelle settimane passate (da 18 €/kWh a gennaio a 150 a dicembre 2021 a 79 a febbraio 2022) avrebbe dovuto far analizzare meglio la stabilità e la fragilità strutturale di questi mercati spot/finanziari.

Al contrario, le aziende che rivestono un interesse nazionale e che dovrebbero proteggere gli interessi dei consumatori hanno fatto pressione sulle autorità nazionali perché anche l'Italia adottasse un simile sistema di fissazione del prezzo del gas basato sul cosiddetto Psv (punto di scambio virtuale) il gemello un po' più caro del Ttf olandese. I grafici storici mostrano chiaramente che i due valori sono perfettamente paralleli, dando la misura della totale dipendenza dell'indicatore italiano da quello olandese, nonostante i due mercati abbiano strutture e dinamiche diverse.

Nel corso degli anni, allo scadere dei contratti a lungo termine, le aziende hanno cercato di inserire nelle formule di prezzo anche la componente del mercato spot olandese, introducendo nel prezzo del gas una componente di volatilità e di fragilità a danno dei consumatori.

Il sistema di prezzo del gas oggi in vigore in Italia protegge fortemente gli operatori ma scarica interamente sui consumatori ogni potenziale disfunzione del sistema. Si potrebbe dire che il rischio creato con il prezzo spot/finanziario trova la sua copertura (hedging) nel prezzo al consumo scaricato ai cittadini-consumatori. In tal modo si è perso l'obiettivo principale delle liberalizzazioni, che era quello di assicurare prezzi più bassi in un contesto di sicurezza degli approvvigionamenti.

Visto il peso strategico dell'energia nel nostro paese occorre ridefinire il ruolo degli organismi di indirizzo e controllo senza lasciare mano libera agli operatori del settore, che non hanno dimostrato di saper o voler garantire trasparenza dei prezzi, sicurezza degli approvvigionamenti e protezione degli interessi dei consumatori.

Qual è il costo medio reale di un metro cubo di gas fisico immesso sul mercato italiano?

Questa domanda non può restare virtuale. Dobbiamo sapere se il prezzo che facciamo pagare in bolletta ai consumatori di energia è quello medio pagato dagli operatori che importano o producono gas o semplicemente quello generato nella borsa olandese in base alla speculazione finanziaria innestata da aspettative alimentate da alcuni soggetti, ma non giustificata dagli equilibri di domanda ed offerta. E soprattutto, dobbiamo sapere se questo prezzo è così alto da assorbire tutti i rischi e le disfunzioni del sistema rendendo convenienti anche le importazioni del gas più costoso.

Sono in grado l'Autorità dell'Energia e i Ministeri competenti di fornire una informativa su questo punto specifico? Sarebbe utile, alla luce dell'esperienza dell'ultimo decennio, valutare se l'adozione del prezzo spot (finanziario) del gas è stato un reale beneficio per i consumatori.

Ci sono molti strumenti per ottenere la trasparenza da parte delle aziende del settore. Una potrebbe essere quella adottata dai paesi produttori di petrolio quando fissano il riferimento fiscale per le aziende operatrici nel paese. Quando diverse compagnie sono partner dello stesso giacimento ed ognuna di loro vende, in modo indipendente, la propria quota di petrolio sul mercato, viene fissato un unico riferimento fiscale per tutti, sulla base del prezzo medio di vendita di ogni periodo. Chi ha venduto meglio ne ha un beneficio, chi ha venduto male viene penalizzato. Dietro c'è la filosofia che chi opera male non deve trasferire la propria inefficienza sul paese produttore.

Ovviamente, perché sistemi simili possano funzionare occorre la totale trasparenza da parte degli operatori. L'esaltazione del principio del libero mercato non può ridursi ad una sommatoria di espedienti per nascondere la realtà dei dati e cercare di trarne vantaggio a danno dei consumatori. Evidentemente qualcosa non funziona nel rapporto fra aziende ed autorità competenti.

La materia è certamente complessa ma richiede uno studio approfondito ed una ricerca di soluzioni pratiche per evitare di rendere troppo fragile il sistema nazionale. È ormai una questione strategica.

Siamo un grande paese ed un acquirente strategico di energia soprattutto di gas e petrolio. Abbiamo un grande potere negoziale e possiamo ottenere condizioni di favore. Abbiamo bisogno sia di aziende che sappiano gestire il business avendo chiara la loro funzione strategica nazionale sia di organismi di controllo consapevoli e competenti che possano controllare e suggerire al legislatore soluzioni da adottare.

Dobbiamo avere la consapevolezza che la transizione sarà un processo lungo che andrà al di là dei traguardi temporali ufficiali. Nel frattempo, non possiamo rischiare che i ponti fra il presente ed il futuro da venire crollino per mancanza di manutenzione lasciandoci sospesi per aria. Non mi pare che su questo ci sia consapevolezza della classe dirigente del paese.

Mentre affrontiamo la crisi Ucraina essendo partners attivi dell'Occidente, cerchiamo di mettere ordine in casa nostra recuperando una visione strategica sull'energia.



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