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Politica energetica nazionale

di G.M. e G.P.

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Bersani: per fare le riforme servono idee e pazienza, non consulenti

A vent'anni dal Dlgs 79/99 intervista all'ex ministro che ha aperto il mercato elettrico italiano. “Ciampi mi chiese: ‘ho lavorato alla nazionalizzazione del '62, dove ho sbagliato?' Ma poi capì e disse ‘vai avanti'”

Pier Luigi Bersani
Pier Luigi Bersani

Nei giorni scorsi è caduto il ventennale del Dlgs 79/99 che ha liberalizzato il mercato ed è ancora la normativa di riferimento per il settore. Dopo l'intervento di Luigi De Paoli, che lavorò alla stesura (v. Staffetta 15/03), la Staffetta ha intervistato direttamente il padre di quella riforma, l'allora ministro dell'Industria Pier Luigi Bersani, per ripercorrerne la genesi, il metodo e i punti di forza e debolezza. Il risultato è una conversazione a tutto campo che tocca anche i maggiori temi di attualità (energetica e non solo), dal Piano energia clima alla fine dei prezzi tutelati, all'idroelettrico, al futuro del gas e del petrolio.

Partiamo dal Decreto Bersani: cosa è ancora valido e cosa non più? cosa modificherebbe, col senno di poi?

Farei due considerazioni di premessa. La prima è che adesso si parla tanto di riforme, ma a me sembrano ritocchi rispetto a quelle della fine degli anni ‘90. L'anno prima del 79/99 avevo fatto la riforma del commercio, cose che cambiavano radicalmente lo scenario. Nella mia testa erano riforme al livello di quelle che si fecero nei gloriosi anni '70, come la riforma sanitaria, la chiusura dei manicomi o la scuola dell'obbligo del primo centrosinistra. La seconda considerazione riguarda l'enormità di risorse che ha la pubblica amministrazione: io ho fatto tutte quelle riforme senza un consulente. Il consulente, McKinsey, lo prese il ministero del Tesoro per capire cosa stessero facendo al ministero dell'Industria.

Entrando nel merito, come tutte le riforme radicali richiede un'implementazione e una manutenzione. Sulle cose basiche di quella riforma non avrei niente da correggere, niente di cui pentirmi. E non sento nessuno che si penta. E a rileggerla, devo dire che l'hanno scritta in un modo che “canta”. Anche perché, non essendo io un esperto, dovevo essere il primo a capire.

Quanto all'implementazione, in alcuni casi fu attenta, in altri meno.

Ad esempio?

Fu attenta laddove si procedette al compimento della riforma con la separazione della rete elettrica. Su questo punto ci torniamo su perché ho qualche sassolino da levarmi. Meno attenta negli anni successivi fu l'implementazione nel tenere il punto di equilibrio sulla questione delle rinnovabili. E meno, ultimamente, sulla questione dell'Acquirente unico, non sono d'accordo su questo pasticcio che si sta determinando (il riferimento è alla fine dei prezzi tutelati previsto dalla legge 124/17, ndr). Ma nell'insieme con quelle norme siamo riusciti ad attivare un ciclo di investimenti colossale, ad aprire un settore industriale. E anche un ricambio generazionale: aprivano nuove società, era uno spettacolo, arrivavano ragazzi a parlare e a presentare idee… E si è dimostrato che bisogna programmare: l'autorità pubblica deve sapere dove vuole arrivare, ma poi bisogna usare più che si può gli strumenti di mercato per arrivare agli obiettivi. Dove non li usi deve esserci una buona ragione. C'è poi da dire che io ho potuto fare quello che ho fatto perché era già allestita normativamente l'Autorità di regolazione, con un meccanismo di nomina che ne ha molto aiutato l'autorevolezza – e che se lo avessero copiato anche per le altre Autorità, come io chiedevo, sarebbe stato meglio. Credo che sia stato positivo aver messo in sequenza bene le cose: Autorità, liberalizzazione e privatizzazione – per quanto parziale del settore dell'energia. Dove invece si è invertito l'ordine dei fattori si sono fatti dei guai, come ad esempio nel settore dei trasporti. Se confrontiamo gli esiti industriali del modello energia e gas (e in parte trasporti con la liberalizzazione dell'alta velocità, che ho fatto sempre io) con quelli degli altri settori come le telecomunicazioni, le autostrade eccetera, si vedono due modelli diversi: il modello che ha messo bene in sequenza le cose consegna oggi dei soggetti industriali che stanno in piedi: Enel, Italo, Fs, ecc. Negli altri settori, dove sono state usate altre formule, troviamo una debolezza degli esiti industriali.

Torniamo ad Acquirente Unico: come immaginavate l'ultimo passaggio della liberalizzazione?

Sempre nella logica di mercato. Con i miei collaboratori ci intendevamo al volo su un punto: lo Stato deve dire dove si va ma deve fare solo lo stretto necessario. Immaginavamo che con l'affermazione di un mercato ben strutturato l'Acquirente Unico perdesse via via senso. Se oggi abbiamo 400 venditori vuol dire che c'è troppo grasso, c'è un fallimento. Per questo la gente sta nell'AU. Se invece di 400 fossero 15 in concorrenza vera, il problema si risolverebbe. C'è qualcosa che non quadra, quindi bisogna correggere il mercato.

Tornando all'AU, fu uno dei punti in cui superai le colonne d'ercole della riforma europea, alla cui stesura avevo partecipato anch'io perché era il semestre italiano di presidenza: l'AU come soggetto di mercato, un punto su cui i francesi avevano in testa tutt'altra cosa. Detto questo, bisogna sorvegliare che il mercato funzioni. Adesso vogliamo costringere la gente a fare il cambio? Io vivo nella realtà, vado al bar, al supermercato: sapete quanti milioni di persone sono in agitazione perché ricevono telefonate dal mattino alla sera, anche in modo minaccioso? Sarebbe da mandare i carabinieri. Non è possibile trattare i consumatori in questo modo. Parliamo di servizi essenziali, e questi spaventano le vecchiette. In commissione Attività produttive l'ho detto chiaramente: io adesso non mi muovo, mi dite voi dove devo andare. Hai visto mai che mi rimandano all'Enel?.

Dove si può intervenire per evitare queste distorsioni?

Bisogna fare un albo dei venditori serio. A proposito di riforme, aggiustamenti e ritocchi: noi togliemmo 15.000 MW all'Enel per mettere in campo tre o quattro attori che avessero la possibilità di competere. Non riusciamo a fare altrettanto per i venditori? Basta mettere dei parametri, dare tempo un anno e poi vedere se serve ancora l'AU. Ma devi convincere il consumatore. Adesso, con questi ribassi delle tariffe, ci sarà qualcuno che scoprirà che essendo caduto nella trappola della telefonata il ribasso non ce l'ha. Sarebbe da mandarli dal ministro a parlare.

Si può pensare a un tetto antitrust anche sul retail?

Sì, forse si può pensare. Se la ricetta dell'albo non funziona si può provare.

Il Piano energia e clima ha tutta l'aria di una riforma vera. Quali consigli si sente di dare a chi deve guidare questo processo?

Una parola sul metodo. Io ho imparato che le conferenze servono ma che c'è una via molto più semplice. Il ministro ha un vantaggio: ha la prerogativa che se chiama le parti in causa, loro vengono a parlare. Io non ho avuto bisogno di consulenti perché ho applicato questo metodo, a partire da un'idea da confrontare con il personale della pubblica amministrazione, gente che ha il punto di vista dello Stato. Dopo di che chiami le parti interessate, anche in confessionale, ti fai dire la loro, e ciascuno porta il proprio interesse. Impari un linguaggio, ti fai un'idea e poi ci lavori. Non serve affidarsi a uno specialista, a un consulente. Serve avere un'idea in testa, la pazienza e un minimo di linguaggio e di cultura. Ma soprattutto avere la pazienza di parlare con tutti gli aventi causa, di prenderli sul serio. Questo è ineliminabile.

E nel merito?

Ci vuole un piano che sia una policy. Noi stressiamo molto il tema dell'energia ma se non ci si occupa di trasporti, abitazioni ed edilizia si sta perdendo tempo. Perché nel campo dell'energia abbiamo già fatto passi rilevanti, a volte anche poco coordinati, con qualche scompenso ad esempio nelle rinnovabili. E penso che la policy porti a dire che dobbiamo fare una grande operazione sui trasporti. Sembrerò blasfemo, ma questo non vuol dire finanziare l'auto elettrica. Piuttosto, si tratta di togliere dalla strada quello che è inquinante. Questa è la priorità, se vogliamo parlare sul serio, e poi sollecitare politiche industriali in questo campo. Sulle abitazioni bisogna fare assolutamente un'operazione di trasferimento al livello di quartiere e condominio dei meccanismi di detrazione fiscale. Poi c'è il grande tema del riuso e degli interventi di investimento diffusi che abbiano dentro pienamente la questione energetico-ambientale. E bisogna potenziare le politiche del Gse. Come assolutamente da fare sono investimenti sulla rete, gli stoccaggi, gli accumuli, i pompaggi, il mercato della capacità e trovare un punto di equilibrio gas/rinnovabili. E lavorare sulle rinnovabili, soprattutto sull'idroelettrico.

Sull'idroelettrico c'è stato un intervento di “regionalizzazione” nel Decreto semplificazioni. Cosa ne pensa?

Per me si apre un punto interrogativo. Io sono un regionalista però bisogna essere cauti. Ricordo che in Sicilia ci fu una rivolta perché, avendo tutte le raffinerie sul territorio, volevano pagare il gasolio mille lire al litro. Io dissi che allora in Umbria e in Toscana dove producono tabacco avrebbero dovuto pagare meno le sigarette… bisogna cercare di tenere in equilibrio il Paese. A parte questa questione di principio, aver lasciato un punto interrogativo su come le Regioni regoleranno la questione comporterà che per un bel po' ci sarà un blocco delle iniziative, fino a quando si capirà chi, come e quando farà le gare.

Come se ne esce?

Mettendoci buon senso e la forza della politica. Un ministro che chiami le Regioni e dice loro: vi abbiamo fatto un grosso regalo, adesso dobbiamo fare le cose seriamente.

Ci sono altri temi che la politica sta sottovalutando?

Mi preoccupa molto il tema dell'approvvigionamento. Su questo non siamo mica a posto. Quando sento esponenti del Governo dire che ci vorranno comunque 60 miliardi di metri cubi di gas al 2030 e poi però si inizia a snobbare anche il gas… Noi, e non solo per colpa di questo governo ma anche di quello precedente, abbiamo accettato, sotto pressioni internazionali, una cosa che io non avrei mai accettato: cancellare il South Stream e il Poseidon, raddoppiare il Nord Stream, e avere come risultato il Turkstream che adesso prenderà la rotta dei Balcani. E l'esito possibile di tutto ciò, da qui a dieci anni, sarà questo: noi saremo gli unici a dipendere dal tubo dell'Ucraina, con la Russia totalmente disinteressata a quel tubo, e saremo legati a quello che ci potranno dare Algeria e Libia, facendoci il segno della croce. E dovremo andare a prendere il gas a nord, un gas che costa di più già per motivi di trasporto, cui adesso i tedeschi aggiungono anche dei “trucchetti”. Adesso posso dirlo: dopo l'ultima esperienza di governo mi chiamarono sia l'ambasciatore americano che l'ambasciatrice tedesca e io dissi loro: sono assolutamente contrario a mollare questi canali di approvvigionamento. Se decidete, contro il parere del governo italiano, di raddoppiare a nord e di chiudere a sud, le sanzioni ve le fate voi. Per dirla all'emiliana: bevuta pari, cioè parità di sicurezza energetica, parità di sanzioni. Se c'è disparità, le sanzioni ve le fate voi. Noi dovevamo essere l'hub del gas, e adesso finisce che siamo quelli tagliati fuori.

Le hanno mai offerto lavori di “consulenza”, come capitò all'ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder con il Nord Stream?

Non sono il tipo… e lo sanno. Non mi hanno mai approcciato.

Sul progetto di gasdotto Eastmed ha fatto rilievi positivi.

Ma quel progetto ha problemi geopolitici di assoluto rilievo e costa l'ira di Dio. L'unica cosa possibile sarebbe recuperare un pezzo di Poseidon e poi esercitare attraverso il Governo il massimo di pressione diplomatica per non dirottare il Turkstream sui Balcani. Ma questo comporterebbe far arrivare un altro tubo in Puglia. Con tutto che il Poseidon è autorizzato da quel dì, per l'approdo al porto di Otranto. Io lavorai per far convergere il Tap con il Poseidon. Insomma, su questo fronte sono molto preoccupato. Dovremo affidarci più al mercato spot: adesso il gas è tanto e i prezzi sono bassi, ma non si sa mai cosa può succedere se la Cina torna a tirare. I prezzi possono andare alle stelle, e noi non siamo ancora attrezzati bene. Noi di gas avremo ancora bisogno per un bel po', è inutile che ci raccontiamo cose che non esistono. Abbiamo un problema di metterci in sicurezza con gli approvvigionamenti e di non pagare il gas più caro degli altri. È un assurdo che impatta anche sull'energia elettrica: dove sta scritto che per definizione una nostra impresa debba pagare più di un'impresa tedesca?

L'ex ministro Calenda aveva abbozzato un'idea di soluzione con il corridoio della liquidità...

Io non amo far polemica sulle cose serie, ma sono preoccupato perché vedo il Governo molto distratto su questo punto, mentre gli altri Paesi fanno gli affari propri. E non c'è materia come quella delle infrastrutture che ti fa capire come gli altri immaginano il futuro, perché parliamo di orizzonti di 20-30 anni. Nelle cancellerie tedesche (e temo a questo punto anche russe, turche, inglesi, francesi) a noi ci danno per persi e ci lasciano in braccio ai problemi che ci dà il Mediterraneo. Loro sono fuori da questi problemi perché dal punto di vista della dipendenza energetica, che è il clou del problema, non hanno problemi se ci sono guai in Libia o in Algeria. Hanno fatto pressioni politiche e strategiche forti.

Però abbiamo Eni in Egitto.

Sono contento per l'Eni che si conferma a livelli notevolissimi dal punto di vista della ricerca. Ma comunque ci tocca andare sullo spot se abbiamo bisogno. Non possiamo certo fare un tubo dall'Egitto o tantomeno dal Mozambico.

Anche di petrolio avremo ancora bisogno per un pezzo. Come affrontiamo il futuro della raffinazione?

Partiamo dalla coda, visto che sono figlio di un benzinaio. Quando conobbi Gian Marco Moratti ero ministro da una settimana. All'assemblea di Confindustria non volevano farmi entrare perché non mi conoscevano. Alla fine dell'assemblea venne a farmi i complimenti e mi invitò all'assemblea UP che ci sarebbe stata di lì a due settimane. E mi disse: troveremo il modo di collaborare. Per forza, gli risposi, sono figlio di un benzinaio… Quindi partiamo dalla rete: in Italia sta arrivando di tutto, la rete sta diventando una giungla. Io metterei un occhio di preoccupazione seria su questo fenomeno. Come fanno a sopravvivere 5-6.000 distributori che vendono meno di 300mila litri l'anno? O tengono aperto per non caricarsi dei costi di bonifica oppure c'è un'altra questione. Le compagnie se ne stanno andando, i margini si stanno riducendo, ormai sono al livello di quelli che aveva mio papà. C'è una dequalificazione impressionante. La raffinazione è stata venduta un po' da tutti… e può darsi che qualche compratore si sia anche pentito. Ed è abbastanza scontato che si avvicini ai luoghi di produzione. Quindi in prospettiva avremo qualche possibilità sulla raffinazione di qualità ma non vedo grande prospettiva.

Per il resto, abituiamoci a vedere entrare in questo Paese soggetti nuovi. Sonatrach ha comprato Augusta e i depositi Esso al sud. C'è un proliferare di depositi che qualcosa vuol dire. La Guardia di finanza controlla ma le carte sono sempre a posto, mi dicono. Insomma, sul settore petrolifero bisogna dare un'occhiata alla salubrità del sistema prima di ogni altra cosa. Perché parlare di sviluppo in queste condizioni non è igienico. Prima bisogna parlare di risanamento, poi di sviluppo, crescita e qualificazione. Anche il tema delle bonifiche è una cosa serissima, bisogna fare norme che aiutino a consolidare, a dare una struttura più industriale al settore. Ma la preoccupazione più grossa è risanare perché il fenomeno sta prendendo una piega poco gradevole.

Torniamo un secondo sull'unbundling. Qual era il sassolino che voleva togliersi dalla scarpa?

Nella definizione delle norme europee io avevo collaborato “da liberale” perché in questo i francesi erano tetragoni. Fu Strauss-Kahn, persona di serie A, a chiudere il dossier. Io strappai alcune cose già nella direttiva, per esempio il fatto che i clienti idonei potessero essere anche associati. Negli altri paesi europei non sanno cos'è un distretto, io avevo esperienza dei distretti della ceramica eccetera… quando tornai in Italia ci fu chi, a cominciare dall'Authority, mi diceva di togliere all'Enel la proprietà della rete. Ma loro non sapevano quello che sapevo io.

Cioè?

Io sapevo che la luce il giorno dopo doveva arrivare, e il sistema era già molto sotto stress. Non c'è stato uno sciopero né niente, e i posti di lavoro li mantenemmo. Ma il sistema era molto sotto stress. La questione dell'Enel fu veramente dura. Vedevo anch'io che la soluzione era pasticciata. Allora decisi di delegificare. Negli ultimi colloqui con Prodi decidemmo di farla partire così perché il sistema era già stroppo stressato. Poi avremmo delegificato con un atto amministrativo del Tesoro o del Consiglio dei ministri. E questo è avvenuto. Razionalmente la scelta era da fare subito. Ma c'era il rischio che saltasse tutto. Voglio fare un regalo alla gloriosa Staffetta raccontandovi un aneddoto. Tra i protagonisti di questa vicenda non possiamo dimenticare l'allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi. I suoi gli dicevano che stavamo smontando l'Enel. Noi ci conoscevamo da poco ma lui mi stimava. Un giorno mi chiamò, ci incontrammo e mi disse a tu per tu: “io, insieme ad altri, ho nazionalizzato l'energia elettrica. Adesso dimmi: dove ho sbagliato?” Gli risposi: “presidente, non hai sbagliato in niente, devo solo ringraziarti perché dalle mie parti, in montagna, non sarebbe mai arrivata la luce a parità di condizioni, se non aveste fatto questa cosa. Quindi: missione compiuta. Adesso la situazione è che l'Enel invece di darci dei soldi ne chiede, non fa uno straccio di investimento. Adesso bisogna portare l'energia a migliori condizioni economiche, sollecitando un piano di investimenti”. Dopo un po' che parlavo mi guardò e mi disse: “ho capito, vai avanti”. Un personaggio di quel rango, con quell'umiltà e con quella classe… Io da quel momento non ho più avuto problemi. Senza uno così le cose sarebbero state ben diverse. Un altro episodio con Ciampi riguarda le quote prezzo – andate a vedere cosa sono sulla Staffetta dell'epoca (v. Staffetta 17/07/96). C'era uno strano meccanismo per cui l'Enel stava incassando tanti soldi in più sulle bollette. C'era stata polemica con i consumatori, io mi convinsi e le tolsi, nel giorno stesso in cui avevamo nominato Tatò e Chicco Testa ai vertici dell'Enel. Loro vennero subito a protestare. Io risposi: “se non siete capaci di tirare su 200 miliardi vuol dire che abbiamo sbagliato nomine”. Allora corsero da Ciampi a lamentarsi di me, a dirgli che c'era un matto al ministero dell'Industria. In consiglio dei ministri Ciampi mi chiese una spiegazione. Gli dissi che i miei potevano anche sbagliare ma che quel provvedimento valeva uno 0,2% sull'inflazione, che allora era un problema. Lui verificò e anche quella volta mi disse: vai avanti.

Tornerà nel Pd?

No, bisogna fare una cosa nuova. Se volete una foto della politica sul lato centrosinistra, guardate i risultati delle regionali. Abbiamo rimesso insieme, senza vincere, un 32-33%, mettendo assieme sei o sette cose, e il Pd pesa intorno al 10%. Finché siamo alle regionali… ma quando arrivi alla dimensione politica, anche alle europee, bisogna metterci dentro una politica, un obiettivo, un percorso nuovo. Il Pd non è sufficiente per la cosa che abbiamo davanti, dopo tutto quello che è successo. Adesso, alle europee, bisogna cercare di ribadire che tutti quelli che si riconoscono in una sinistra europea devono mettersi insieme. Ma questo deve promettere qualcosa per il futuro. E tocca al Pd fare la prima battuta. Io so cosa è auspicabile, però bisogna immettere un elemento di novità che dica che c'è una sinistra, un soggetto di sinistra largo, popolare e plurale. E tagliare con l'esperienza di questi anni in tutti i sensi, un'esperienza che non è piaciuta alla gente. E bisogna riprendere il tema sociale. Perché se lo lasci in mano alla destra… se perdi presa sui temi sociali, impallidiscono anche i diritti civili, la democrazia.



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