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Politica energetica nazionale
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Nucleare, le “bestie” risvegliate dal referendum

La levata di scudi sulla Cnapi viene da lontano

Con il referendum sul nucleare del 1987 – quello che, sull'onda del disastro di Chernobyl, determinò l'abbandono dell'energia atomica da parte dell'Italia – non si chiedeva ai cittadini “volete che l'Italia abbandoni il nucleare?”. I quesiti ponevano una questione diversa che ha un sapore beffardo, a rileggerla oggi, dopo il coro pressoché unanime dei tanti “pasionari” della politica nazionale e locale contro il deposito delle scorie.

Il primo quesito chiedeva di abrogare la norma che consentiva al Cipe di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non si fossero espressi entro i tempi stabiliti.

Con la seconda domanda i referendari chiedevano di abrogare le norme sul compenso ai Comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone.

Quel referendum riguardava sì il nucleare, ma andava a risvegliare bestie difficili da addomesticare: il localismo e la paura. Per questo oggi non convince lo stupore degli ambientalisti di fronte a questa valanga di “no”. A prescindere dalla bontà o meno della posizione antinucleare, con quei quesiti si decideva di giocare la partita dell'energia sull'emotività, più che sull'informazione e sulla razionalità.

Scriveva la Staffetta 33 anni fa, l'11 gennaio 1988: “Quando accadono fatti del genere, significa che le lacerazioni nel corpo sociale sono arrivate a un punto critico, che è in gioco qualcosa di più di una semplice scelta tecnica, che si sono verificate delle mutazioni nel modo di vedere i problemi per cui le soluzioni tradizionali hanno perso affidabilità e credibilità. L'emotività fa premio sulla razionalità. La mediazione dei politici e la garanzia degli esperti lasciano il passo al fiuto della gente”.

A evocare certi mostri, non si sa mai dove si va a finire. O forse lo si sa fin troppo bene.



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