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Politica energetica internazionale
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La schizofrenia europea su gas e petrolio

Per la transizione è necessario mantenere in efficienza le filiere dei “fossili”

Di petrolio e gas avremo bisogno ancora per diversi decenni. Se non ci occupiamo di mantenere in efficienza queste filiere, il rischio è di andare incontro sempre più spesso a shock di prezzi e squilibri tra domanda e offerta come quelli che stiamo vivendo in questi giorni. E come il cambiamento climatico aumenta la frequenza e la gravità degli eventi meteorologici estremi, così la transizione, se non governata, rischia di aumentare gli eventi estremi sui mercati e sui prezzi di gas e petrolio – che vuol dire (oggi e ancora per un bel po' di tempo) su bollette e carburanti. Sconvolgimenti che rischiano di mandare a monte la stessa tabella di marcia della transizione, ben più delle ubbie dei “negazionisti”.

Esattamente un anno fa si leggeva sulla Staffetta: “Ci sarebbe da scommettere un penny sull'eventualità che i prezzi del petrolio torneranno a schizzare ben oltre gli attuali 40 dollari, nel momento in cui il mercato apprezzerà il fatto che gli investimenti attuali non sono sufficienti a coprire” l'aumento della domanda di petrolio e prodotti. Oggi la quotazione del barile è raddoppiata e si parla con sempre maggiore insistenza di “quota 100”.

Dal convegno di apertura di Fuels Mobility i rappresentanti della filiera del petrolio e del gas hanno lanciato un allarme: se l'Europa deciderà di puntare solo sulla mobilità elettrica – calcolando le emissioni solo allo scarico e non sul ciclo di vita – la filiera dei carburanti liquidi e gassosi non potrà partecipare alla transizione. E sarà difficile mantenerla in efficienza senza una prospettiva di sviluppo. Non solo dunque non si avranno dopodomani i carburanti sostenibili, ma si rischia anche, domani, di non avere i carburanti fossili di cui si avrà ancora bisogno. O di averli a condizioni economiche proibitive. Come sta succedendo oggi per il gas: non dare una prospettiva certa – per quanto di ridimensionamento – agli operatori, significa spingere gli operatori sempre più sullo spot esponendosi ai capricci del mercato globalizzato, e il risultato sono shock come quello di questi giorni.

Ed è sconcertante sentire il responsabile europeo del Green Deal, Frans Timmermans, citare al consiglio dei ministri dell'Ambiente UE il tema dei “sussidi alle fonti fossili” indicandoli quasi come un tesoro cui attingere per finanziare la transizione. Timmermans ha citato un documento di lavoro pubblicato il mese scorso dal Fondo monetario internazionale, in cui si aggiornavano i conti sui “sussidi”. Una definizione, questa, che può avere un senso dal punto di vista accademico ma che dal punto di vista politico vale zero. Nel documento si legge chiaramente che su oltre 6.000 miliardi di “sussidi”, meno di un decimo sono sussidi espliciti (cioè soldi veri). Il resto sono per lo più costi legati al riscaldamento globale e all'inquinamento che non sarebbero internalizzati nei prezzi dei prodotti energetici. Soldi immaginari, quindi, che da anni vengono spacciati per finanziamenti ai settori del petrolio e del gas. Se si guardano le mappe del Fmi, si capisce inoltre che il problema riguarda quasi esclusivamente Russia, Asia, Medio Oriente e Nord Africa. Che in un dibattito al massimo livello delle istituzioni europee il massimo rappresentante della Commissione in materia di energia tiri fuori in questa chiave il refrain insensato dei sussidi alle fonti fossili è segno di una grave carenza di argomentazioni e di scarso contatto con la realtà. E forse anche di disagio e confusione di fronte a uno scenario inatteso come quello di queste settimane.

Come sostanzialmente immaginari sono i sussidi alle fonti fossili, concretissimi sono invece gli aumenti dei prezzi del gas e dell'elettricità che hanno costretto il governo italiano a trovare cinque veri miliardi di euro per ammortizzare il colpo sulle bollette per soli sei mesi. Miliardi che per una parte non irrilevante arrivano paradossalmente da fondi destinati alle rinnovabili e all'efficienza e vanno a pagare i fornitori di gas.

Imbarazzante è anche l'invito che lo stesso Timmermans ha rivolto ai ministri dell'Ambiente a usare, per agevolare la transizione e per proteggere cittadini e aziende dal caro prezzi, gli undici miliardi di entrate aggiuntive ottenute dai 27 grazie al rialzo dei prezzi dei permessi di emissione Ets. Undici miliardi per un continente alle prese con una crisi mai vista prima sui prezzi dell'elettricità e del gas. Un po' pochini. Lo stesso governo italiano ha usato i proventi delle aste per ammortizzare il rialzo delle bollette. E sono bastati appena a limare il picco coprendo meno di un terzo dei cinque miliardi stanziati complessivamente.

Per prevenire, per quanto possibile, che ci siano shock anche nel settore petrolifero, la filiera deve essere messa in condizione di partecipare alla transizione. A partire dalla produzione. Nel discusso rapporto Net Zero, l'Aie fa un fugace riferimento al fatto che le pressioni della politica e della finanza sulle major occidentali porteranno a una concentrazione dell'offerta di greggio in pochi Paesi produttori. Ma questo non fa suonare nessun campanello di allarme? Magari la crisi del gas di questi giorni – in cui è bastato un cenno del capo della Russia a fare la differenza tra l'isteria delle ultime settimane e la tregua di queste ore – servirà da lezione per non arrivare allo stesso punto critico anche con i carburanti.

Stesso discorso per la raffinazione, alle prese con margini negativi e con prospettive tutt'altro che rassicuranti: il Piano di ripresa ha completamente ignorato la necessità della riconversione ecologica del settore, e del fatto che per offrire carburanti puliti l'industria dovrà quanto meno arrivare viva al momento di passaggio.

Infine, anche per la logistica e la rete di distribuzione servono scenari e regole per quanto possibile stabili, con una chiara prospettiva per la decarbonizzazione dei motori a combustione, visto che l'elettrificazione passerà per lo più su altri canali.

L'alternativa è continuare con l'atteggiamento schizofrenico di chi con la destra continua ad alzare l'asticella degli obiettivi climatici, gettando a mare la filiera del gas e del petrolio, e con la sinistra elargisce miliardi a pioggia per abbassare i prezzi troppo alti di petrolio e gas.

Un po' come Anne Hidalgo che da sindaca di Parigi ha condotto battaglie per vietare la circolazione delle auto a combustione e da neo candidata all'Eliseo ha proposto di ridurre le accise sui carburanti. Mostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che lo spettro dei gilet gialli si aggira ancora per l'Europa.



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