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Politica energetica nazionale
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Il caso Elettricità Futura e l'indagine Arera

Due sintomi di uno stesso malessere?

In pochi giorni il settore elettrico italiano ha assistito a due fatti decisamente insoliti: prima i maggiori soci della principale associazione che mettono in mora il presidente in carica dal 2020, con ancora due anni di mandato davanti; poi un'Autorità per l'energia solitamente poco incline a mettere il naso nelle condotte degli operatori che avvia un'indagine su quello che è ancor oggi il cuore del mercato, la borsa elettrica a pronti. Che sta succedendo?

Questi due episodi si possono naturalmente leggere come indipendenti l'uno dall'altro, ma è difficile non metterli in relazione con un terzo fattore: una fase di particolare conflittualità interna al settore che richiama alla memoria stagioni già viste in anni passati e di cui il terremoto associativo e il faro sui mercati spot sembrano possibili riflessi.

La mente torna ad esempio al 2008, quando scoppiò una disputa tra energivori e produttori sul meccanismo di formazione dei prezzi, proprio mentre la crisi finanziaria iniziava a mordere l'economia. O all'inizio del decennio scorso, quando le tensioni tra elettricità convenzionale e rinnovabili si infiammarono in un contesto segnato da domanda e margini in calo e da un boom del solare incentivato.

Anche oggi ci troviamo davanti una serie di fattori di malessere che hanno intensificato le tensioni - in parte gli stessi degli anni passati, in parte nuovi - rischiando di portare la conflittualità sopra il livello di guardia, come ha lamentato ieri all'evento Green Horse-Althesys Luca Dal Fabbro di Iren - una delle associate di Elettricità Futura che chiedono un cambio alla presidenza.

L'industria manifatturiera nazionale sta vivendo una fase di acuta difficoltà per la concorrenza estera e i rischi di deindustrializzazione di settori storici. Un disagio che in questi mesi ha visto Confindustria tornare a più riprese a battere sui costi energetici, tema portato ancor più sotto i riflettori dal rapporto Draghi.

Nel frattempo i prezzi all'ingrosso dell'energia elettrica italiani anche nel 2024 sono stati di gran lunga i più alti d'Europa, più che in ogni altro Paese hanno seguito quelli del gas - che non scendono quanto si sperava - e negli ultimi 5 mesi hanno visto un differenziale record con la Francia, a quasi +68 €/MWh medi.

Il tutto senza ancora riflettere in modo apprezzabile la forte crescita delle rinnovabili e dando a volte l'impressione di aumentare più di quanto i costi sottostanti delle tecnologie marginali (gas ma anche idro) giustificherebbero. E di rispondenza ai fondamentali parla l'unico cenno non generico dell'altrimenti vaga delibera con cui Arera ha avviato l'indagine.

Il settore della produzione elettrica convenzionale per parte sua sta vivendo un periodo critico, da un lato con i bassi margini che lo caratterizzano ormai da un decennio, dall'altro col venir meno da un paio d'anni, col riassetto regolamentare del dispacciamento, della possibilità di recuperarne una parte su Msd. Con l'unico contrappeso rimasto nel capacity, su cui infatti ieri al convegno di Roma molti rappresentanti del settore invocavano attenzione.

Altri due elementi completano questo mix infiammabile. Il primo è lo stesso di dieci anni fa, ma cresciuto in intensità: un settore delle rinnovabili in ebollizione e alla ricerca di spazi sul mercato, in competizione con le tecnologie tradizionali - con le quali pure vive oggi ancora in felice simbiosi sotto l'ombrello del prezzo marginale.

Il secondo è una circostanza contingente: la pressione concomitante di una serie di dossier normativo-regolatori di estrema delicatezza per una parte del mercato, dall'idroelettrico alle concessioni per la distribuzione elettrica, oggi in cima alle agende degli incumbent di entrambi i settori.

Tutti i soggetti in campo - domanda, termoelettrici, idroelettrici, rinnovabilisti - competono da ultimo per una medesima risorsa scarsa, che prima ancora che il mercato è l'attenzione prevalente del decisore pubblico, e poiché questa non può esserci allo stesso modo per tutti il nervosismo inizia a scaricarsi ovunque trovi uno spazio.

A fine 2008 il risultato fu il colpo di scena del DL Crisi, che su richiesta di Confindustria fatta propria dal governo in carica prevedeva il passaggio per decreto a un nuovo meccanismo di pricing. Un vero terremoto con annessi crolli in Borsa degli energetici, che costò un lungo lavoro di mediazione e ricucitura per disinnescarne gli effetti.

Per ora nulla del genere è avvenuto, tuttavia non mancano i boati all'orizzonte.

Una scelta drastica come quella di convocare un'assemblea straordinaria di EF contro la linea del presidente, in un contesto come quello associativo che abitualmente preferisce risolvere i problemi a porte chiuse, sembra ad esempio il sintomo che si è oltrepassata una linea rossa.

Quanto all'Arera, a riguardare gli ultimi anni raramente o mai l'attuale Collegio aveva avviato iniziative simili nel settore dell'energia, se non espressamente chiamata in causa dal governo e dal legislatore (vedi il rapporto sui prezzi di importazione del gas durante la crisi energetica).

L'attuale temperie potrebbe aver contribuito a convincere l'authority al passo inconsueto - a cui peraltro si aggiunge un'altrettanto insolita tornata di verifiche nel retail - di cui come detto sono tutti da capire focus e portata ma su cui una cosa è chiara fin d'ora: la conclusione dell'indagine è fissata appena due mesi prima della scadenza del Collegio in carica (agosto 2025), a cui quindi basterebbe una minima proroga per trarsi dall'eventuale imbarazzo, lasciando il dossier sul tavolo del suo successore.



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