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Politica energetica internazionale

di G.P.

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Gas Russia, fermare i flussi sarebbe un'autosanzione

Intervista a Massimo Nicolazzi

Massimo Nicolazzi
Massimo Nicolazzi

L'UE sembra ricordare di continuo al suo maggior fornitore di gas che tra breve non avrà più bisogno di lui. Al tempo stesso però, gli chiede di garantirle ugualmente il “magazzino”. Perché il fornitore dovrebbe farlo? Lo domanda in quest'intervista con la Staffetta Massimo Nicolazzi*, esperto e manager energetico di lungo corso, indicando una contraddizione che contribuisce ad alimentare la crisi energetica attuale. La Russia per parte sua, attraverso le tensioni del mercato sembra voler mandare un messaggio all'Europa, sempre meno propensa a impegni di acquisto di lungo termine. Ma come indurre gli operatori ad assumerseli per stabilizzare il mercato, se il rischio è di non vendere i volumi acquistati per il progressivo ridursi della domanda per la decarbonizzazione? Forse con un'assicurazione sulle perdite, ipotizza Nicolazzi. Ovviamente a un costo.

C'è il rischio che si fermino le forniture?

Se l'Europa decidesse di interrompere le forniture di gas dalla Russia più che una sanzione mi sembrerebbe un'autosanzione.

Poi resta la possibilità che un conflitto fisicamente blocchi le forniture. La lezione dell'altra volta, ai tempi della guerriglia in Dombass e dell'invasione della Crimea, ci racconta però di uno scenario in cui sopra la terra era l'inferno, sotto la terra il fiume azzurro scorreva placido. Perché il russo ci tiene alle revenues dalla vendita, per l'ucraino i diritti di transito sono la revenue più importante e a noi piace accendere i caloriferi.

Quindi?

Tutto questo ci dice che in assenza di una forzatura politica neanche una condizione di belligeranza automaticamente elimina il flusso. Poi è chiaro che in presenza di un conflitto su vasta scala si ferma tutto, ma a quel punto il gas diventa solo uno dei problemi.

Vediamo l'interesse delle parti in gioco: ha interesse la Russia a usare il gas come arma politica bloccando forniture già committed? Siamo il loro principale cliente. Che interesse hanno a costrigerci a rivolgerci alla concorrenza e a stimolare il nostro processo di decarbonizzazione e in particolare di sostituzione del gas fossili con altri fuel?

Un processo che richiede tempo. Che si fa nel mentre?

Nel breve periodo il gas è insostituibile, punto. Non si cambiano i convertitori e i generatori dalla mattina alla sera. In questo momento pianificare un phase out dal gas significa intervenire anche sulla domanda, non solo sull'offerta, e avviare un'operazione che non è risolutiva nel breve, ma solo nel medio/lungo periodo.

“Quanto lungo” e “come”, però, sono fattori non senza conseguenze rispetto alla tua forza commerciale. Se al russo vai a dire che sei per una drastica riduzione della domanda per il 2040-2045 è ovvio che progetterà di congiungere la Siberia alla Cina, perché sa che a un certo punto cesserai gli acquisti. Se poi nel frattempo gli chiediamo pure di tenerci e garantirci comunque il magazzino, lui perché dovrebbe?

Dovremmo comprargli un'opzione…

Ma chi la compra? Un acquirente europeo, non potendo prevedere le idee brillanti che agiteranno la politica europea dei prossimi anni, lo farebbe oggi un contratto ventennale? Rischia un ‘pay without taking'. Oggi invece il cinese che fa un contratto di 19 anni con il fornitore americano sa già che quel gas gli servirà tutto.

Quindi come facciamo a indurre un operatore di mercato a far qualcosa di contrario alla logica del mercato attuale - come un contratto ventennale - ma che serve al sistema? Obbligo o incentivo?

L'unico modo che mi viene in mente è di trovare un modo per assicurarlo sulle perdite. Ti approvo volumi e tempi, ma se cambia il mercato ti copro con un'assicurazione sulla vita. Se fossi Generali, per inciso, io li assicurerei: so già che il rischio che la decarbonizzazione riesca ad andare più veloce degli attuali obiettivi è forse men che minimo. Fuor di battuta, sarebbero comunque meccanismi molto delicati e complessi. Però chi ritiene che i contratti di lungo periodo siano o quasi l'unico strumento per garantirci i volumi futuri deve fare i conti col fatto che a questo fine può rendersi necessaria una condivisione pubblica del rischio dell'operatore.

Torniamo al rischio interruzione. L'Economist scrive che l'Europa potrebbe compensare uno stop totale dalla Russia per un 15% con Gnl spot, contando per il resto sullo stoccaggio (mezzo vuoto). Non proprio incoraggiante…

Il Gnl va dove lo porta il prezzo. In questo momento abbiamo una sorta di mercato comune Asia-Europa e qualunque cosa dica l'Economist, se oggi vuoi più Gnl in Europa qualcuno lo deve pagare almeno quanto lo pagherebbero in Asia. Mentre i contratti long term che si appoggiano su un gasdotto ti danno una certezza sulla destinazione, non puoi obbligare un operatore privato a portare il Gnl in un posto anziché in un altro. Un operatore italiano ha stipulato qualche anno fa un contratto long term con (l'impianto di liquefazione Usa di) Sabine Pass (Enel ndr) e non pare l'abbia fatto per il mercato nazionale, ma solo e giustamente per rivenderlo opportunisticamente alla destinazione meglio pagante.

Dopo di che, cosa si intende per “compensare”? Rispetto a quale rischio? Che qualcuno possa morire di ipotermia o solo che la normale fornitura non sia assicurata a tutti in ogni momento? Se la risposta è la seconda, che in caso di interruzione delle forniture russe si possa restare un giorno senza la doccia qualche rischio io lo vedo, ma cerchiamo almeno di metterci d'accordo sulla gravità del pericolo.

Ma secondo lei la Russia ha alimentato apposta le tensioni sul mercato? Sospensione vendite spot, stoccaggi Gazprom vuoti, frecciate su Nord Stream 2: se tre indizi fanno una prova... Hanno voluto mandare un messaggio?

Se fosse il direttore commerciale di un'azienda il cui principale cliente ripete di continuo ‘non vedo l'ora di non essere più tuo cliente' lei cosa farebbe?

*Manager con una lunga esperienza nel settore oil&gas, già dirigente di Eni e Lukoil e a.d. di Centrex Europe, insegna economia delle risorse energetiche all'Università di Torino ed è senior advisor per la sicurezza energetica di Ispi.



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