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Politica energetica nazionale

di G.P.

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Lo strano caso dei prezzi del gas importato

Da settimane infuria la polemica sul divario tra costi di import e prezzi di mercato, basata su dati che l'Istat ha poi sconfessato. Ma nessuno corregge il tiro.

Politica energetica nazionale

Uno dei temi più dibattuti al momento sull'energia è il differenziale tra i costi del gas importato e i prezzi di mercato. Da settimane infuriano polemiche sui superprofitti che ne derivano e sull'opportunità di rivedere le formule dei prezzi di tutela, perché ne tengano conto. Proprio al picco delle polemiche, però, l'Istat ha apportato una colossale correzione ai valori su cui esse si fondavano, cambiando di molto il quadro, anche se nessuno sembra averne ancora preso nota.

"Quanto costa un metro cubo di gas importato in Italia?" si chiedeva il 14 febbraio sulla Staffetta Salvatore Carollo (v. Staffetta 14/02). Un articolo che a suo modo scoperchia un vaso di Pandora: grazie ad esso infatti molti non addetti ai lavori apprendono per la prima volta che non necessariamente il prezzo all'ingrosso del gas al Ttf – attuale benchmark di mercato - rappresenta i costi di approvvigionamento di chi lo vende, che (in alcuni casi) possono essere anche sensibilmente inferiori.

Tra i più interessati, anche alcuni parlamentari, i cui uffici nei giorni successivi hanno contattato la Staffetta per capire meglio. Il 1° marzo, quindi, sono arrivate le prime interrogazioni parlamentari al Mite, con la richiesta di conoscere i prezzi del gas pagati dagli importatori in base ai loro contratti con l'estero (v. Staffetta 03/03). Richieste a cui il 2 marzo la sottosegretaria al Mite Vannia Gava replicava che per "preminenti ragioni di sicurezza" e tutela di dati sensibili "si ritiene non opportuno fornire indicazioni così puntuali”.

Passano altre due settimane e il 14 marzo sul quotidiano La Stampa esce un articolo di Carlo Cottarelli, professore della Cattolica, direttore dell'Osservatorio sui conti pubblici Ocpi ed ex commissario alla spending review del governo Letta, che contiene un grafico piuttosto eloquente.

Vi si vede infatti che nella seconda metà del 2021 il differenziale tra i costi medi di importazione del gas in Italia - come indicizzati in una banca dati dell'Istat, che li ricava ogni mese dividendo i valori in euro delle importazioni per le quantità - e i prezzi medi sul mercato Ttf è letteralmente esploso, raggiungendo un rapporto di quasi 1 a 6.

Cottarelli ne conclude che, poiché dall'andamento del Ttf dipendono i prezzi finali delle famiglie servite in servizio di tutela, i consumatori finali stanno regalando un superprofitto ai venditori e che quindi la formula dei prezzi finali elaborata dall'Arera - che proprio oggi la userà per il nuovo aggiornamento trimestrale di aprile - va abbandonata al più presto, correggendola con un opportuno ancoraggio ai costi di importazione.

Nell'articolo il direttore dell'Osservatorio Ocpi dimentica per la verità due o tre dati utili: che non tutti i consumatori italiani pagano il prezzo di tutela definito dall'Autorità (solo meno della metà dei domestici in effetti); che non tutti i venditori si approvvigionano ai costi di importazione, anzi la maggioranza di essi ri-compra dagli importatori a prezzi più legati al mercato a pronti; e che lo stesso prezzo finale di tutela non dipende dal Ttf spot day ahead, rappresentato nel grafico del professore, ma dai future trimestrali che hanno un andamento diverso, un po' meno volatile.

La differenza però, per quanto significativa, non cambia di molto il quadro. Inoltre il Ttf spot è davvero un riferimento per i prezzi all'ingrosso pagati da molte altre categorie di acquirenti diverse dalle famiglie nei loro acquisti a breve termine, come le società di vendita, consumatori industriali e centrali elettriche.

Insomma, dettagli a parte, Cottarelli ha effettivamente toccato un punto sostanziale: da qualche parte "a monte" della filiera, il gas importato in Italia (ossia il 95% dei nostri consumi) costa molto meno dei valori attuali del mercato all'ingrosso. Si può discutere su cosa se ne debba concludere, ma con la crisi dei prezzi che minaccia di stritolare l'economia non tenerne conto non pare sostenibile.

Dell'articolo de La Stampa (v. testo allegato) si accorgono subito anche in Parlamento. L'on. Davide Crippa del M5S già il 15 marzo inonda i social con una slide col grafico di Cottarelli (v. allegato), chiedendo di fare lumi su “meccanismi di calcolo lontani dalla realtà”.

La questione diventa sempre più incandescente, quando di colpo dall'Istat arriva un getto d'acqua fredda.

Il 16 marzo una nota urgente dell'Istituto di Statistica spiega che per un “problema tecnico”, i valori in euro delle importazioni di gas nel secondo semestre 2021 - quello segnato appunto dal rally dei prezzi - erano stati calcolati male e il valore corretto è più che doppio di quello dichiarato inizialmente: quasi 12 miliardi contro 5,83 (v. Staffetta 17/03). Una correzione monstre che costringe l'Istituto anche a rivedere al ribasso di 0,3-0,4 punti i dati sull'andamento del Pil nel 2021 (v. Staffetta 24/03).

Come si può vedere dal nostro grafico a fianco, che ricalca quello di Ocpi per il periodo dal 2019 al 2021 ma considerando sia i valori iniziali sia quelli post-correzione, le implicazioni sono considerevoli.

Per dirne una, mentre prima del 16 marzo il costo medio del gas importato risultava molto più basso di quello pagato dalle famiglie in tutela, dopo la correzione dell'Istat i due dati sono quasi perfettamente allineati. Insomma se il problema è la coerenza della formula di tutela con i costi di importazione (per quanto medi), non sembrerebbe esserci più alcuna necessità di cambiarla.

Quanto al differenziale tra il costo di importazione e il Ttf spot, esso resta comunque elevatissimo, dunque non cancellando l'interesse dell'analisi iniziale, ma anche in questo caso il ridimensionamento è gigantesco: con i nuovi dati a dicembre 2021 si passa da un rapporto di 1 contro 6 a 1 contro 2,2.

Resta da capire come sia possibile che un dato tanto importante abbia potuto subire correzioni enormi come questa.

L'Istat ha spiegato in una nota che la causa è il malfunzionamento delle procedure che l'Istituto applica normalmente al controllo e alla correzione dei dati anomali (outlier). Significa che i valori più elevati visti nel secondo semestre, perché troppo diversi da quelli degli anni passati, erano stati scartati automaticamente dal sistema come anormali e non rappresentativi? La Staffetta ha posto il quesito all'Istat ed è ancora in attesa di una risposta.

Quel che è certo è che la conseguenza è stata enorme. Si è già detto del riflesso sui dati sul Pil. Il mondo dell'energia, per parte sua, che credeva di aver trovato un punto fermo per capire quali fossero i costi di importazione della prima commodity nazionale, è tornato di fatto a brancolare nel buio: come fidarsi di un sistema che sbanda tanto paurosamente?

Né Cottarelli né La Stampa hanno finora ritenuto di fare correzioni, Crippa ugualmente non pervenuto. Un segnale, molto più eloquente, sembra nel contempo essersi visto altrove, a Palazzo Chigi: proprio il giorno dopo la correzione dell'Istat, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha sbattuto (quasi letteralmente) il pugno sul tavolo sull'opacità dei costi di approvvigionamento del gas.

Annunciando la norma del DL 21/2022 che obbligherà gli importatori a fornire i contratti all'Arera (che li terrà riservati), il premier ha detto: "Nelle settimane scorse abbiamo cercato di avere cognizione sui contratti di importazione di gas (…) e non siamo riusciti. Sono comportamenti non più tollerabili". Vista la situazione, si fa fatica a dargli torto.



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