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Politica energetica internazionale
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Il blackout e i costi della transizione

Mettendo da parte la gazzarra sulle responsabilità di questa o quella fonte – una faida che non aiuta a comprendere né a risolvere – due riflessioni degne di interesse vanno emergendo a quasi due settimane dal blackout iberico. Entrambe hanno al centro il costo dell'energia. La prima la possiamo riassumere così: in tanti – imprese e cittadini – preferirebbero un sistema elettrico con qualche blackout ogni tanto ma con i prezzi “spagnoli”. La seconda è che probabilmente i costi della transizione sono stati generalmente sottovalutati.

Partiamo da questo secondo punto. Di recente Monica Frassoni, già esponente di spicco dei Verdi in Italia e in Europa e presidente dell'Ease (l'alleanza per il risparmio energetico), ha commentato il lungo articolo con cui Carlo Stagnaro ha ricostruito la questione del blackout, con un post su Linkedin in cui afferma tra l'altro: “La transizione costa. Assolutamente vero. Nessuno l'ha mai nascosto, anzi. Però nessuna scelta energetica è gratis”.

Ineccepibile l'affermazione sul costo della transizione, mentre il fatto che nessuno l'abbia mai nascosto è abbastanza discutibile. In tanti protestavano quando su queste pagine si scriveva che la transizione non è un pranzo di gala (v. Staffetta 20/01/17). E in tanti preferivano far passare messaggi rassicuranti, additando come cripto-negazionista chi provava a far tornare i conti.

Di esempi ce ne sono a iosa, a cominciare da chi sosteneva che avere dieci miliardi di euro l'anno di incentivi alle rinnovabili in bolletta non era un problema e si poteva aumentare ancora, per arrivare a chi, in tempi più recenti, cercava di nascondere sotto il tappeto i costi per lo sviluppo dell'eolico offshore.

Proprio su quest'ultimo punto sono arrivate in settimana due conferme delle criticità in atto: lo stop al progetto Orsted nel Regno Unito perché economicamente insostenibile e l'annuncio del Mase che nella prossima asta l'eolico offshore non ci sarà.

La nuova ministra tedesca dell'Energia lo ha detto con estrema chiarezza in settimana: “il blackout nella penisola iberica ha dimostrato quanto possa essere vulnerabile il sistema elettrico … lo sviluppo dell'energia eolica e solare ci ha aiutato a compiere progressi nella protezione del clima ma i rischi e i costi del sistema sono stati sottostimati”.

D'altronde, il Financial Times, parlando del dibattito spagnolo, riportava in settimana le stime Bnef sugli investimenti in reti elettriche: in Spagna pari a 30 centesimi per ogni euro investito in rinnovabili, contro una media europea di 70 centesimi.

Il nodo delle reti non è secondario: un anno e mezzo fa l'Aie scriveva che entro il 2040 ne servono ulteriori 80 milioni di km, pari alla metà della distanza tra la Terra e il Sole, per investimenti che dovranno raddoppiare, nel giro di cinque anni, a 600 miliardi di dollari l'anno (v. Staffetta 17/10/23).

A proposito di imprese “spaziali”, viene in mente la riflessione che emerse nel 2019, al dibattito sui 20 anni del “decreto Bersani”: raggiungere gli obiettivi energia-clima al 2030 e oltre richiederà uno sforzo paragonabile a quello fatto per portare l'uomo sulla Luna (v. Staffetta 21/06/19).

Questi fatti – ormai parliamo di fatti – vanno tematizzati e non nascosti o minimizzati.

Quanto alla preferenza per il sistema spagnolo, con prezzi bassi e qualche disfunzione, tutto sta a verificarne (oltre alla replicabilità) la sostenibilità nel medio-lungo termine. Sia dal punto di vista della frequenza delle disfunzioni, sia dal punto di vista della sostenibilità economica, con la cannibalizzazione in atto che sembra spingere sempre più operatori (ad esempio) verso l'Italia. Dove a soffrire, c'è da aggiungere, è più chi consuma l'energia che chi la produce.



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