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Politica energetica internazionale

di Massimo Nicolazzi*

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Il monopolista di mercato

Snam e Terna possono investire come vogliono la rendita delle attività regolate?

Politica energetica internazionale

Il paradigma delle liberalizzazioni prevedeva per gas ed energia elettrica una rigorosa divisione tra le attività di vettoriamento e distribuzione da un lato e attività di produzione e commerciali dall'altro. Ai “trasportatori” - gestori delle reti nazionali e locali - fu attribuito un regime di monopolio, e però insieme per contrappeso fu fatto divieto di occuparsi d'altro (essenzialmente produzione e vendita). La decarbonizzazione muta in parte lo scenario. Il gas non è più solo metano, ma anche biogas, gas sintetico e poi idrogeno. La generazione elettrica obbliga la rete ad ospitare quote crescenti di generazione intermittente, e quindi tendenzialmente a sviluppare maggiori capacità di accumulo. La questione è se questi mutamenti implichino o meno una rottura del paradigma. Qui si argomenta in negativo, ma l'argomentazione non pretende di essere dogma.

L'importante è non lasciare l'evoluzione all'autodeterminazione o a fatti compiuti. Il che fare è tema di legislazione e di regolazione; ed è tempo che lo si affronti.

I vettoriamenti del gas naturale e dell'energia elettrica avvengono in regime legale di monopolio; regime che gli economisti spesso legittimano invocando il ricorrere di una condizione di monopolio naturale (la condizione cioè in cui l'esercizio di un'attività è più efficiente in regime di monopolio che di concorrenza). Il monopolio è poi predicato su un unbundling rigoroso; nel senso - e per semplificare - che al monopolista del trasporto è fatto divieto di produrre o vendere la materia che scorre nelle sue reti. Il divieto ha una logica che in parte potrebbe doversi estendere anche all'intrapresa di attività diverse da quelle regolamentate.

L'unbundling nasce (anche) dalla necessità di garantire la terzietà dell'operatore e la non discriminazione degli operatori commerciali (quando il tubo era dell'Eni poteva sorgere il dubbio che trattasse con favore il gas suo; e lo stesso con l'elettrodotto l'Enel). Il monopolista è nella sua attività caratteristica essenzialmente risk free, nel senso che la legge (semplifico) gli garantisce la remunerazione a tasso predeterminato del capitale investito (i pratici parlano di RAB, Regulatory Asset Base) ed il rimborso dei costi operativi. La misura della rendita dovrebbe essere tale da ragionevolmente consentire al monopolista di assolvere al servizio pubblico che gli è stato affidato; e dunque fornirgli cassa e disponibilità necessarie allo sviluppo ed ottimizzazione della rete. Il flusso di cassa a ciò necessario è poi garantito dallo scarico dei costi sulla bolletta del consumatore finale.

Il monopolio produce così di fatto una rendita; e per evitarne l'abuso la misura della rendita (via tasso di remunerazione) è oggetto di regolazione pubblica

Però sempre rendita monopolistica è; e dunque il limite tra suo uso ed abuso può farsi stretto. Che succede se la rendita eccede le necessità del servizio pubblico? L'eventuale surplus testimonia anzitutto di un qualche sovradimensionamento della tariffa; sovradimensionamento che magari a livello regolatorio era pure voluto (lo Stato, vedi accise sui carburanti, è liberissimo di tassare – regressivamente – al consumo; e anche il regolatore di sovrastimare le necessità del Transmission System Operator per ragioni prudenziali); ma che ti lascia aperta la questione del che fare col surplus. Libero il monopolista di usarlo per investimenti che vanno oltre il perimetro della sua esclusiva?

Il monopolista che reinveste nel mercato aperto non solo lo fa usando di una rendita pubblicistica ma anche spuntando, grazie alla certezza della rendita, condizioni di credito privilegiate rispetto ai soggetti non monopolisti. Gode insomma di una condizione di vantaggio competitivo ogni volta che investe in ambiti diversi da quelli coperti da riserva di monopolio (se Terna o Snam decidessero di investire nella produzione di bamboline temo sbaraglierebbero il settore). La discesa in campo di uno strano ibrido che potremmo definire il monopolista di mercato è scenario che perciò qualche dubbio dovrebbe suscitarlo (e a livello comunitario lo suscita). Al tema dell'unbundling si affianca qui quello delle regole di un mercato concorrenziale.

Il dibattito si aprì o quasi quando più di un decennio fa Terna si mise a realizzare campi fotovoltaici, peraltro su aree di propria competenza. Ci fu chi eccepì, giudicando che realizzazione e possesso anche temporaneo di impianti di generazione fossero attività incompatibili con il monopolio. Finì che Terna riuscì a vendere quel che aveva prodotto, e con buon profitto, prima ancora che il dibattito si facesse maturo. In pratica costruì ma non generò (almeno continuativamente); e visto il ritorno nessuno si sognò di sindacare a posteriori. Il problema sarebbe stato identico anche per impieghi diversi da (potenziali) violazioni dell'unbundling. Se Terna avesse avuto aree di pertinenza vista mare e per valorizzarle ci avesse fatto villette sarebbe cioè stata (in termini di libertà di utilizzo di una rendita garantita dallo Stato) concettualmente la stessa cosa.

Adesso però arriva l'idrogeno, che già prima ancora di esserci cambia le dimensioni e la qualità del problema. Ci si chiede ad esempio se Snam lo possa vettoriare, e magari miscelato a metano. Qui sarà magari necessario qualche passaggio regolamentare; ma se parliamo di trasporto la prospettiva è abbastanza univoca. La decarbonizzazione spingerà alla progressiva miscelazione di gas (biogas, gas sintetico, idrogeno…) ed il trasporto della miscela in rete nazionale non si vede come non possa confermarsi monopolio naturale gestito dall'attuale gestore. Il tema sarà essenzialmente quello dell'adeguamento infrastrutturale e dei suoi tempi. Bisognerà evitare magari regolamentando di gravare le bollette troppo in anticipo (se si decide ad es. di andare solo a idrogeno verde con esclusione del blu, per volumi sensibili da convogliare al trasporto nazionale se ne riparla al meglio ben dentro il prossimo decennio; e posto poi che un metro cubo di metano ha il potere calorifico di 3 metri cubi di idrogeno, ci toccherà anche cambiare e pagare in bolletta la sostituzione di tutti i contatori gas attuali – che misurano volumi – con contatori capaci di misurare il potere calorifico erogato; e così di seguito); ma non dovrebbero esserci dubbi sulla direzione di marcia.

Quel che sembra più smuovere gli assetti è però l'intercambiabilità in itinere della fonte che l'idrogeno verde viene a introdurre. Possiamo già tecnicamente usare l'energia elettrica generata da rinnovabili intermittenti per produrre idrogeno (“power to gas”); e poi l'idrogeno così prodotto per (ri)produrre energia elettrica (“power to power”). Il processo non è particolarmente efficiente. Oggi usando 100 kWh di generazione elettrica se ne cavano al meglio via elettrolisi 60/70 di idrogeno, e se si riconverte a power ne restano 40/50. A parità di potere calorifico, in modalità power to gas il costo di produzione del vettore idrogeno verde è sensibilmente maggiore di quello del vettore elettricità da cui il processo è alimentato; onde al netto di poderosi incentivi e sussidi non è mai competitivo nei settori di comune applicazione (il trenino a idrogeno ci può stare, ma solo in assenza di una linea già elettrificata e previa comparazione del costo). Poi la tecnologia migliorerà; ma arrivare ad un EROEI (Energy Returned on Energy Invested) positivo non pare per domattina. Per anni e anni ancora ci vorranno sensibilmente più kWh a produrlo di quelli che in forma idrogeno ci torneranno disponibili. Per produrre economicamente idrogeno verde ci vorrebbe oggi elettricità disponibile a costo zero, o quasi; e dunque una capacità di generazione rinnovabile eccedente quella ospitabile in rete e di cui in assenza di un impiego alternativo sarebbe impossibile la valorizzazione.

L' altro impiego. Power to power. L'idrogeno come modalità di stoccaggio dell'elettricità e dunque parte dei sistemi di accumulo necessari al funzionamento di una rete che vettoria quote crescenti di generazione da rinnovabili intermittenti.

Siamo per entrambe le destinazioni agli albori e anzi meno che agli inizi; e però anche già con magnitudo di finanziamenti pubblici già annunciati e disponibili. Uno degli oggetti del desiderio è l'elettrolizzatore, il dispositivo elettrochimico alimentato da energia elettrica che consente di rompere le molecole dell'acqua e separare l'idrogeno. Quello dal cui sviluppo di efficienza dipende insomma la speranza che l'EROEI si faccia positivo, o quasi (anche se si cominciano a segnalare all'orizzonte tecnologie alternative). Possiamo qui usarlo come proxy del dibattito prossimo venturo (che coinvolgerà sicuramente ulteriori macchine, tecnologie e applicazioni del vettore idrogeno) sul ruolo dei TSO nella catena dell'idrogeno verde.

Ritorniamo alla rendita. La questione del ruolo del monopolista si sdoppia qui in due domande.

La prima è di capire se il monopolista possa investire negli elettrolizzatori in quanto tali, e dunque per puro investimento e non per integrarli nella propria catena produttiva. La seconda è se un monopolista del vettoriamento possa incorporarli direttamente nella propria filiera industriale.

Snam risponde affermativamente a entrambe. A ottobre ha investito 33 milioni per acquisire una quota di minoranza in ITM Power, società inglese specializzata nelle tecnologie dell'idrogeno elettrolizzatori inclusi. Lo scopo dichiarato sarebbe di acquisizione di competenze tecniche. L'investimento è stato finanziariamente un successo (il titolo è arrivato al 300% dei valori di Borsa correnti al momento dell'acquisizione); ma come spendita di rendita per acquisizione di competenze tecniche, se l'ambito d'azione caratteristico resta limitato al trasporto, sembrerebbe un poco ridondante.

E infatti Snam risponde alla seconda domanda annunciando che l'elettrolizzatore lo vuole anche usare e afferma che “per promuovere lo sviluppo dei gas verdi (in particolare l'idrogeno) è opportuno perseguire un'evoluzione della governance settoriale al fine di consentire alle società controllate dai Tso di contribuire agli sviluppi richiesti investendo lungo la catena del valore del gas verde”.

Terna a sua volta sembra non sembra prendere posizione sulla prima domanda; però come ricordato in passato ha comunque intrapreso. Sulla seconda l'elettrizzatore sembra volerlo usare anche lei, posto che afferma, con successivo accento particolare sui progetti Power to Gas, che “sia i Tso dell'elettricità che del gas dovrebbero essere autorizzati a eseguire test di mercato e progetti pilota sotto la supervisione dell'Autorità di regolazione, dove il mercato non è ancora pronto a investire” (i virgolettati sono tratti dalle memorie di Snam e Terna nell'ambito della consultazione UE sui gas verdi v. Staffetta 17/03).

Qui, riassuntivamente e se posso, un'opinione. Non sono favorevole alla possibilità che i proventi della rendita siano investiti in attività non caratteristiche del monopolio. L'asimmetria concorrenziale tra chi è monopolista e chi no va evitata, che si parli di villette o di bamboline o di elettrolizzatori. Poi possono essere necessarie o opportune attività sperimentali finalizzate allo sviluppo della rete ed al modificarsi di quanto vettoriato. Ma fermo il principio generale e nel limite, appunto, di strumentalità e sperimentalità.

Sulla seconda domanda mi dichiaro un cultore dell'unbundling rigido e della sua estensione ai “nuovi” gas. Produrre idrogeno, via elettrolizzatore, vuole appunto dire “produrre”; e ove ci si fermi al power to gas senza ulteriore conversione significa aver prodotto idrogeno da destinare ad altre applicazioni, e dunque alla “vendita”. Al netto di esigenze “sperimentali”, non si vede ragione per attenuare o addirittura eliminare nei confronti del nuovo gas i divieti a garanzia della terzietà introdotti per metano e energia elettrica.

L'unica situazione nella quale vedo un TSO operare e possedere direttamente un elettrolizzatore è quella di una produzione di idrogeno rigorosamente non destinata alla vendita ma finalizzata alle esigenze della rete, e dunque segnatamente delle necessità di accumulo di Terna. Che nell'ottimizzare e migliorare la resilienza alla crescente quota di generazione intermittente può valutare se accoppiare idrogeno, magari per lo stoccaggio di lungo periodo, litio e quant'altro. Insomma operare l'elettrolizzatore come componente integrante la rete. Anche qui, peraltro, il dubbio se l'accumulo ed i suoi oneri non debbano almeno in parte ricadere sul produttore intermittente anziché sulla rete; e dunque una potenziale esigenza almeno regolamentare.

Poi è solo un'opinione. Ma i temi, qui solo sfiorati, del gas che si rinnova e delle rinnovabili che chiedono accumulo dovrebbero convincere tutti della necessità di regolazione, se non anche di legislazione. I TSO hanno certo in prospettiva necessità di ripensare e modificare il loro modello e forse anche di diversificare i propri ambiti di attività. Ma il cambiamento di pelle del monopolista rimanda comunque alla coerenza con la regolamentazione dei mercati ed a una revisione legislativa del suo mandato. Il futuro delle reti, e il regime della concorrenza sono temi troppo rilevanti per permettere che siano autodeterminati o lasciati al fatto compiuto.

Pare tempo che si dia una regolata all'idrogeno.

* Docente di Economia delle Risorse Energetiche all'Università di Torino, senior advisor Ispi per la Sicurezza Energetica, già manager Eni, Lukoi e Centrex, autore del libro “Elogio del Petrolio – Energia e Disuguaglianza dal Mammut all'Auto Elettrica”, Feltrinelli 2019.



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