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Le insidie nascoste per le rinnovabili

Dall'evento del Kyoto Club. Argirò (Cva) su autorizzazioni e prezzi zonali; Atelli sulle richieste telematiche di Via; Barberis (Gse): regole Cer anche prima del 22 febbraio

Rinnovabili e Altre Fonti di Energia - Efficienza

Tra eolico e fotovoltaico, l'Italia si è avvicinata agli obiettivi Pniec per il 2023 senza tuttavia raggiungerli (v. Staffetta 22/01). Per rimanere al passo nella corsa alla transizione bisogna fare di più. Per fare il salto di qualità servono iter di autorizzazione semplici e non semplificati. Sono questi i principali temi emersi dal convegno “Le rinnovabili fanno bene all'Italia” organizzato da Kyoto Club e tenutosi ieri a Roma presso la sala Esperienza Europa.

Nel corso dell'evento sono intervenuti rappresentati dell'industria, delle associazioni e delle istituzioni. Ad aprire il dibattito è stato Gianni Silvestrini, direttore scientifico Kyoto Club, che nel fare il punto sull'evoluzione delle rinnovabili in Italia, ha portato esempi virtuosi di altri Paesi. In Cina, ad esempio, “le rinnovabili sono state il principale motore della crescita economica nel 2023 rappresentando il 40% dell'espansione del Pil”.

In Germania, ha ricordato Hans-Dieter Lucas, ambasciatore tedesco in Italia, le rinnovabili coprono già il 57% della domanda elettrica. “Il governo tedesco e italiano – ha aggiunto – hanno deciso di fare dell'energia una priorità nel piano d'azione bilaterale sottoscritto dal cancelliere Scholz e dalla presidente Meloni due mesi fa a Berlino e su questa base vogliamo intensificare la nostra cooperazione”.

Giuseppe Argirò, amministratore delegato della Compagnia Valdostana delle Acque (Cva), ha evidenziato quelle che sono le “criticità sotto il profilo industriale sulle quali bisogna lavorare per accelerare sulle rinnovabili. In Italia quest'anno c'è stata una crescita di 5.234 MW con 374.000 impianti fotovoltaici”, cioè in media 13,99 kW per impianto. Il che, ha aggiunto, “significa che c'è uno 0,001% di impianti utility scale sopra i 10 MW e 373.900 impianti che sono stati finanziati col sostegno del debito pubblico italiano e del Superbonus. Ora che il Superbonus è stato decisamente ridotto, questa spinta verrà meno e quindi o partono seriamente gli impianti utility scale o noi rischiamo di vedere questa statistica decisamente diversa”. Dal punto di vista economico, ha proseguito l'amministratore di Cva, “gli impianti generati col sostegno pubblico non hanno un problema di sostenibilità, quindi il fatto che l'impianto piccolo generi elettricità che ha un costo medio dai 120 ai 150 euro al MWh è indifferente perché il Superbonus l'ha reso sostenibile. Nel momento in cui questa disponibilità non c'è, gli impianti piccoli sono decisamente onerosi rispetto ai prezzi attuali. Quindi – ha sottolineato Argirò – la transizione la dobbiamo fare attraverso gli impianti utility scale che si attestano sui 70 euro al MWh, oppure rischiamo di perdere questa straordinaria opportunità sotto il profilo della competitività del costo della produzione energetica”. Argirò ha poi sottolineato il paradosso dei prezzi zonali: se i prezzi non garantiscono la sostenibilità dell'investimento “quegli investimenti non si faranno”. In alcune zone i prezzi rischiano di essere non remunerativi nei momenti di picco, e questo rischia di rallentare gli investimenti. “Se in Sicilia abbiamo una sovracapacità produttiva nei prossimi anni e deprimiamo i prezzi perché non facciamo strutture di evacuazione di energia, quell'energia non avrà una domanda sufficiente e nei momenti di picco i prezzi diventeranno negativi. E se il rischio diventa strutturale quei progetti non si faranno più. C'è una quantità enorme di autorizzazioni in giro che in questo momento non vengono attivate perché i prezzi zonali preoccupano”.

Massimiliano Atelli, presidente della commissione Via-Vas del Mase, ha detto che “l'Italia in questo momento dal punto di vista dei processi autorizzativi è in una via di mezzo. Mentre si emettono pareri e si gestiscono istruttorie in un vecchio quadro di regole, stiamo cercando di revisionare lo stesso quadro”. Atelli ha poi parlato del nuovo portale per l'invio digitale delle richieste di Via, che funziona anche da filtro (v. Staffetta 30/01): “abbiamo chiesto ai tecnici della software house a cui abbiamo fatto ricorso di realizzare un prodotto che valga solo per noi. Tra le novità c'è il limite per cui finché il livello quali-quantitativo dell'istanza di Via non ha raggiunto lo standing minimo previsto dal programma, non si può premere il pulsante di invio. Questo serve a evitare di dover ampliare la fase successiva di ricerca e richiesta informazioni”. In conclusione, Atelli ha dichiarato che per il 2024 la commissione che presiede conta di esprimere pareri su richieste per 12-13 GW di potenza.

Marco Ronchi, responsabile sviluppo impianti eolici e solari di A2A, ha richiamato l'attenzione sulla questione delle aree idonee. “Il Pniec senza il burden sharing è come aver deciso la lista degli invitati al matrimonio senza ver fatto i tavoli. Stiamo vivendo un palleggio eterno tra le Regioni e il governo che sta paralizzando l'emissione del decreto burden sharing e costituisce una complessità che non fa bene al sistema. Le aree idonee secondo noi arriveranno nel 2026 e il rischio è sapere le regole del gioco dopo aver già dato tutte le mani”.

L'evento ha inoltre ospitato un panel politico, con l'intervento degli esponenti di quelli che, stando ai recenti sondaggi, sono i partiti maggiormente quotati in Italia. Sono intervenuti Alberto Luigi Gusmeroli della Lega, Paola De Micheli del Partito Democratico, Massimiliano De Toma di Fratelli d'Italia ed Enrico Cappelletti del M5S.

Nella seconda parte del convegno, quella pomeridiana, Attilio Piattelli, presidente di Free, ha sottolineato l'insufficiente peso attribuito dal nuovo Pniec a sistemi di accumulo, pompe di calore e mobilità elettrica: “L'adeguatezza del sistema si può fare anche con un ricorso maggiore ai sistemi di accumulo che dal nostro punto di vista sono stati un po' sottovalutati nel Pniec. Ricorrere al gas in termini politici ci sta, dobbiamo però stare attenti a cosa ci portiamo dietro. Il gas è comunque costituito da importazioni dall'estero, inoltre se non riduco la percentuale di gas devo ricorrere alla Ccs, cosa che nel Pniec c'è, ma le esperienze internazionali con la Ccs non sono entusiasmanti. In altre parti del mondo non stanno avendo i risultati attesi e sono dunque richieste azioni correttive. Si danno obiettivi di decarbonizzazione al 37% e poi il contributo delle pompe di calore è molto meno considerato rispetto al precedente. Questo è incomprensibile perché è una tecnologia che è molto evoluta. Si è inoltre dato poco peso alla mobilità elettrica che è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla precedente versione. Questa è una questione sostanzialmente culturale anche perché l'Italia dal punto di vista di ricerca e sviluppo non è messa male”.

Gaetano Evangelisti, responsabile associazioni, stakeholders e politiche territoriali di Enel Italia, ha descritto il ruolo delle reti di distribuzione nella crescita della generazione diffusa: “Già oggi in Italia abbiamo connesso 1milione e 600mila impianti rinnovabili sulle nostre reti e riteniamo di procedere con questo ritmo di crescita nei prossimi anni. Questo significa 35 GW di impianti allacciati alla nostra rete che riteniamo possa ospitare un incremento di altrettanti GW. Il piano di Enel 2024-2026 è molto incentrato sullo sviluppo delle reti, il nostro piano di 17 miliardi 12 sono destinati allo sviluppo delle reti e di questi 3,5 arrivano dal Pnrr. I tre scopi principali sono aumentare l'hosting capacity, e solo con quei 3,5 dovrebbe essere di 5,5 GW l'incremento sulla rete; garantire l'elettrificazione dei consumi per 6milioni di clienti; aumentare la resilienza agli eventi estremi degli ultimi anni legati al cambiamento climatico. Con i soldi del Pnrr dovremmo inoltre realizzare entro la metà del 2026 oltre 110 cabine primarie, 1700 cabine secondarie e altri potenziamenti sull'infrastruttura”.

Paolo Mezzera, direttore rinnovabili Iren, ha evidenziato la necessità di snellire le fasi autorizzative: “La Pas non è una semplificazione del processo, è un elemento in più che si è aggiunto, relativamente semplice, che ha però creato ulteriori difficoltà. Quello che serve è rendere l'autorizzazione degli impianti semplice, non semplificata. Se pensi che semplificare è imporre all'amministrazione un tempo più rapido, non riesci. L'altro problema è che sono troppi i soggetti, riceviamo dalla Regione una prescrizione e dalla provincia una che dice esattamente l'opposto. Per ottenere un risultato devo mettere io in accordo il commissario della Regione e quello della provincia. Serve un decisero che abbia potere e dica cosa fare. La chiave per la semplicità è ridurre il numero dei decisori, serve un capofila nella pubblica amministrazione che possa imporsi”.

Luca Barberis, direttore divisione sviluppo sostenibile del Gse, ha parlato di decreti Cer e Fer: “col tredicesimo bando Fer, l'aggiornamento delle tariffe ha comportato una partecipazione decisamente più significativa rispetto al precedente. Siamo in attesa del Fer2, FerX, agrivoltaico, di strumenti e risorse ce ne sono sicuramente molti disponibili, ma nella fase che stiamo vivendo dobbiamo mettere a disposizione la progettualità. Per quanto riguarda le comunità energetiche, stiamo lavorando per rispettare il termine ultimo, ovvero del 22 febbraio, per avere l'emanazione delle regole e possibilmente anche prima. Siamo consapevoli della grande aspettativa che c'è, ma le Cer non devono essere la panacea di tutti i mali, negli spazi giusti possiamo fare tutto”.



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