Sul rilancio del nucleare in Italia la maggioranza di governo è divisa: lo dicono con chiarezza gli elementi sul tavolo. Da un lato Forza Italia e Lega spingono, dall'altro Fratelli d'Italia frena. La situazione, che vede in controluce schierati anche i due campioni pubblici dell'energia Eni ed Enel, è tutt'altro che nuova - precede (e di molto) le elezioni 2022. In queste ore è però apparsa forse per la prima volta con chiarezza e, visto il rischio di un'ennesima stagione di dibattito tossico sull'energia, purtroppo più volte visto in Italia, è venuto il momento di rifletterci.
La spaccatura della maggioranza di centrodestra, si diceva, è sempre stata lì per chi la volesse vedere, anche se le parti erano riuscite a fare in modo che quasi non si notasse. Mentre in campagna elettorale il leader della Lega Salvini prometteva la prima centrale in 7 anni in caso di vittoria, nel programma di FdI il nucleare non c'era neppure. Con l'avvicinarsi del voto Meloni - che già nel 2011 rivendicava con orgoglio la decisione del governo Berlusconi di rinunciare al programma nucleare - non ha mai concesso agli alleati, agli industriali e perfino ai Verdi, alla vana ricerca di appigli per attaccarla, più di un frustrante ritornello: nessuna preclusione per l'atomo, siamo per la neutralità tecnologica ma sulla fissione l'Italia è indietro e dovremmo puntare sulla fusione.
La stessa dichiarazione la futura premier la faceva nell'estate 2022 da candidata, a dicembre 2023 da presidente del Consiglio a Dubai e ancora la settimana scorsa alla Cop29 a Baku. "Nucleare sì, ma da fusione", una posizione che per inciso è anche quella dell'Eni, del cui vertice Meloni ha sponsorizzato la riconferma e con cui collabora su altri punti cardine del programma di governo sull'energia. Come il Piano Mattei, decisamente più centrato sulle tecnologie convenzionali e fossili, come in queste ore non manca di notare polemicamente il fronte nuclearista.
Tutt'altra intanto la posizione portata avanti da Lega e Forza Italia in questi anni. Il primo tentativo di fuga in avanti della viceministra leghista Gava risale già ai primi mesi di governo, sull'alleanza europea sul nucleare, con l'esecutivo costretto a smentire in fretta e furia di aver aderito e la stessa Meloni ad assicurare che sull'atomo nulla si deciderà senza precisi indirizzi del Parlamento. Nel successivo anno e mezzo, sarebbe stato poi il turno del ministro Pichetto di sdoganare progressivamente il tema con dichiarazioni sempre più esplicite. Fino all'annuncio di un Ddl e della formazione di una newco per lo studio di piccoli reattori modulari (Smr), di cui faranno parte Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo, come confermato nei giorni scorsi dal gruppo elettrico.
Fin qui la frizione era rimasta sottotraccia, si diceva. Ora però le cose sono andate troppo avanti e la dichiarazione di ieri del vicepresidente della Camera Rampelli (FdI) alla Staffetta l'ha fatta emergere con tutta la forza possibile (v. Staffetta 21/11).
Ancor prima di entrare nel merito dell'opzione nucleare, un fatto dovrebbe preoccupare, lo si notava già un anno fa (v. Staffetta 06/03/23): il tema dell'atomo ha il triste potere di occupare in poco tempo l'intera scena e alimentare un dibattito esasperato e scollegato dalla realtà, spingendo tutti i partecipati in una trincea e non lasciando spazio - questo l'aspetto più grave - per nient'altro, incluse le questioni energetiche più urgenti e all'ordine del giorno. Uno spettacolo già visto in Italia, l'ultima volta nel 2009-2011, e di cui si iniziano purtroppo a rivedere alcuni tratti distintivi.
Da un lato sul nucleare c'è una verità scomoda, che i suoi detrattori ostinatamente negano: se a dispetto di tutti i problemi che solleva, questa tecnologia continua a tornare sul tavolo è perché, diversamente dai consumi domestici e delle piccole imprese, c'è una quota di domanda energetica, segnatamente quella dell'industria hard to abate, per la quale le rinnovabili con accumuli non sembrano offrire una soluzione di decarbonizzazione davvero percorribile (v. l'esempio dell'Ilva v. Staffetta 22/03).
Ma ci sono verità scomode che anche i sostenitori dell'atomo tendono ugualmente a nascondere sotto il tappeto, anche con dichiarazioni singolari in tema di costi. Se ad esempio è vero, come ha ricordato l'a.d. di Enel Cattaneo questa settimana, che in Francia, dove c'è il nucleare, l'energia elettrica scende sotto i 50 €/MWh, ciò avviene perché le centrali transalpine sono state realizzate decenni fa, con investimenti pubblici imponenti e sono completamente ammortizzate. Tutt'altro discorso vale per centrali realizzate oggi, su cui i numeri noti sono tutt'altri: lo strike price della centrale di Hinkley Point in UK, solo per fare un esempio, vale ai valori attuali più di 120 sterline per MWh e, anche se la tecnologia è diversa, con tutta la buona volontà non si capisce come un nuovo Smr (su cui si possono solo fare stime) possa scendere a 50 euro/MWh né quindi come molti industriali italiani possano pensare di arrivare a pagare quella cifra con nuovi reattori. A meno di presupporre che la differenza venga socializzata, nel qual caso però bisognerebbe dirlo.
Il problema dei costi iniziali di investimento, principale ostacolo da superare per la transizione energetica, non vale solo per le rinnovabili e, come si notava la settimana scorsa, è ancora in attesa di una vera soluzione. Se si vuole davvero discuterne, le scorciatoie non portano lontano.