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Politica energetica nazionale
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Gas, servono o no nuove infrastrutture?

Fact checking su due affermazioni recenti in tema di rigassificatori

Confondere ciò che sarà - il futuro decarbonizzato, quindi anche senza gas naturale - con ciò che è (il cammino che ancora resta per arrivarci) ci è costato caro negli ultimi due anni, in termini di sicurezza e costo dell'energia; per fortuna l'Italia ha saputo reagire alle tensioni, anche potenziando l'infrastruttura di import. Lo ha detto ieri l'a.d. di Snam Venier in un convegno Aeit-Cesi a Milano. Ma servono davvero nuove infrastrutture? Rispondere è meno facile di quanto possa sembrare e condizione necessaria è tener presenti i fattori e le grandezze fondamentali, il che non sempre accade come mostrano due recenti affermazioni.

La prima è quella del Wwf Italia, secondo cui le due navi rigassificatrici che Snam sta installando a Piombino (già operativa) e Ravenna (in arrivo a fine 2024) per complessivi 10 miliardi di mc/anno di capacità di import non servono perché, anche escludendo il gasdotto che porta il gas russo, l'Italia ha già una capacità di import di 83 mld mc/a a fronte di una domanda di 68,5 nel 2022 (v. Staffetta 26/09). Siamo quindi già a posto?

Il calcolo che andrebbe fatto è in realtà un po' meno semplice di una mera somma delle prestazioni di "targa" di gasdotti e rigassificatori e dovrebbe guardare anche a monte, all'effettiva disponibilità di gas. E qui il quadro cambia significativamente, se si tiene conto ad esempio che il gasdotto dalla Libia ha una capacità tecnica di 11 mld mc ma nel 2022, anno dell'emergenza energetica, non ne ha portati neppure 3, né è chiaro quanto (e in quali tempi) l'instabile ex colonia potrebbe aumentare le forniture. Anche il tubo che ci collega al Nord Europa via Svizzera ha una capacità di 18 mld mc ma lo scorso anno, in cui pure è stato molto più sfruttato che nel precedente per sostenere il riempimento straordinario degli stoccaggi, ne ha portati meno di 8, in un contesto di forte competizione per il gas norvegese e per i volumi di Gnl importati ai terminali del Benelux. Il gasdotto dall'Algeria, infine, ha una portata di targa di 33 mld mc, ma nell'intero 2022 ne aveva trasportati meno di 24 e nei primi nove mesi del 2023 ha incrementato i volumi solo di un 2,3%.

In sintesi, in uno scenario di zero flussi dalla Russia, anche ipotizzando incrementi dei volumi sulle infrastrutture ora ricordate che qualcuno potrebbe considerare ottimistici, e nell'ipotesi infine di un pieno utilizzo dei 3 rigassificatori esistenti prima di Piombino e del Tap, si arriva a una capacità di importazione "effettiva" sostanzialmente pari ai consumi del 2022 - di gran lunga i più bassi da oltre 20 anni - o al massimo a quelli del 2021, se si assume un pieno utilizzo del gasdotto dall'Algeria. Non esattamente uno scenario rassicurante, in cui il sistema si troverebbe a rischio, considerando che quello che oggi è il principale fattore di bilanciamento del sistema - il fortissimo calo della domanda, 7,4 mld mc in meno nel 2022 rispetto al 2021, quasi altri 6 mld mc nei primi 9 mesi del 2023 - ha certamente una componente strutturale, che però nessun analista o istituzione si arrischia a quantificare con certezza.

In quest'ottica appare assai più ragionevole la scelta italiana di incrementare la capacità di importazione di 10 mld mc/a con le due navi Snam, che pur non risolvendo un secondo problema di rilievo – la crescente esposizione del sistema italiano (ed europeo) alle incertezze e alla volatilità del mercato globale del Gnl – tuttavia danno al Paese un maggiore margine di sicurezza.

Se però, come si è visto, l'analisi del Wwf non regge a una verifica sui numeri, solleva tuttavia una questione reale: per quanto non alla velocità a cui vorremmo, infatti, la domanda italiana di gas va davvero a diminuire nei prossimi anni, sia per fattori di prezzo e di efficientamento che di decarbonizzazione del mix, con la crescita delle rinnovabili che eroderà spazi di mercato crescenti alle fonti fossili, con una domanda annua stimata da Snam in discesa a 60-65 mld mc nel medio termine. E qui la scelta italiana delle navi rigassificatore mostra una seconda ratio.

Le due Fsru di Snam infatti - a cui in cambio di sicurezza il Paese ha accettato di garantire su base pluriennale la copertura dei costi di investimento e gestione attraverso le bollette anche in caso di sottoutilizzo - dopo un primo di ciclo di vita (la capacità di Piombino è stata assegnata per 20 anni) possono essere rivendute e spostate a piacere in aree del mondo a maggior utilizzo, cosa invece impossibile con terminali fissi. Il che ci porta al secondo fact check.

Rigassificatori stazionari onshore come quelli progettati da Sorgenia e Iren a Gioia Tauro o da Enel a Porto Empedocle - oltre a trovarsi lontano dalle aree di maggior domanda e ad andare a congestionare nuovamente la capacità da Sud che la Dorsale Snam mira a potenziare, come rilevato sempre da Venier (v. Staffetta 23/12/22) - hanno una prospettiva di esercizio di 40 anni o più (Panigaglia ne conta ormai una cinquantina), il che li vedrebbe ancora attivi negli anni in cui l'Italia dovrebbe raggiungere le emissioni zero nette.

La scorsa settimana all'Energy Summit del Sole24Ore il direttore Italia di Enel, Nicola Lanzetta, ha detto che il governo dovrebbe dichiarare Porto Empedocle strategico garantendone i ricavi con le bollette, in quanto “assicurazione” per le forniture, anche considerato – ha aggiunto – che “tutti i rigassificatori hanno una quota di ricavi garantiti” (v. Staffetta 28/09). Cosa non vera, per inciso, se si pensa che il più grande in Italia, quello di Porto Viro, al posto della garanzia sui ricavi aveva a suo tempo optato per l'utilizzo in esclusiva dell'80% della capacità, stesso modello scelto in origine anche da Enel, prima che il mercato cambiasse e il progetto siciliano venisse quindi congelato, diventando un sunk cost per la società. Ma soprattutto in questo caso pare ragionevole riflettere, stavolta in linea col ragionamento del Wwf, se abbia senso socializzare oggi i costi di impianti di quella dimensione (almeno 8 mld mc/a ciascuno), pur con la certezza che a un certo punto della loro vita diventeranno inamovibili stranded asset.



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